Sono tornati. No forse non sono proprio loro, però una piccola parte di essi è sopravissuta allo sciogliersi al sole dei Maudlin Of The Well e rivive nei Kayo Dot.
La passione per i nomi stupidi e assurdi non deve essere passata a Toby Driver, mente pe(n)sante nei Maudlin Of The Well e mente pe(n)sante nei Kayo Dot, che si avvalgono inoltre di un prestigioso deal con la Tzadìk, label di un certo John Zorn, già sentito eh?
I motivi della rottura di quello che probabilmente passerà alla (mia) storia come il più importante collettivo musicale degli ultimi vent'anni (sto parlando dei Maudlin Of The Well, non degli ABBA) non si sanno. In realtà il piccolo Toby va in giro sostenendo che i Maudlin hanno semplicemente cambiato nome; c'è da credergli? Forse, molti membri sono ancora qui, il poliposo Sam Gutterman dietro le pelli, il commuovente Terran Olson ai fiati, il buon Greg Massi alle chitarre, Jason Byron che come il suo omonimo riversa fiumi di parole sulle note eteree e sognanti che scaturiscono da questo dischetto e tanti altri. Si sono aggiunti nuovi compagni come Mia Matsumyia al violino e alla viola, e Forbes Graham al trombone.

L'alchimia però rimane la stessa dei Maudlin, nonostante lo stile sia profondamente cambiato. Le intemperanze "metal" e progressive si sono progressivamente fatte da parte lasciando spazio a textures dilatate, calde, dal forte stampo post-rock à la GYBE, con molti strumenti di estrazione classica che si intrufolano un po' ovunque. Ancora fortissime le influenze jazz, sia per i fraseggi sia per gli strumenti, il sax e il clarinetto di Olson regnano sempre sovrani nel scavare solchi profondissimi nella vostra anima. EMOzionanti le vocals di Toby Driver, finalmente a suo agio nel proporci falsetti tanto cari alla scena emo, forse un po' fuori luogo nei Maudlin, così come incredibili cacofonie di screaming nelle sporadiche escursioni nella follia collettiva che solo i Maudlin e i Kayo Dot probabilmente sono capaci di creare con tanta lucidità.
Strepitosa "A Pitcher Of Summer", di una dolcezza psichedelica travolgente, delicata come un petalo di rosa (uau che similitudine originale) e pesante come un macigno (ehi, per questa c'ho dovuto pensare un po' di più).

Post-rock, brevi sprazzi di postcore, incursioni cacofoniche (quante parole difficili che so), chitarre che si appigliano al cuore come zavorra, note di sax capaci di annodare la vostra gola come nessun altro mai aveva fatto; musica che vi permette di vedere davvero le cose sotto una luce diversa, migliore, più malinconica forse, ma decisamente migliore; e siamo solo all'inizio.
A questo punto se nel 2004, quasi 5, state ancora ad osannare i Tool allora siete proprio dei co*lioni.

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