1992. L'anno di Kurt Donald Cobain, non dei Nirvana. Nevermind cominciava ad attecchire in tutti i salotti post-yuppies europei sino al parossismo, i teen-agers di tutto il mondo si domandavano chi fosse il parrucchiere (o l'hairstylist)di quel marcantonio in versione mini dagli 'arcangelici' capelli biondi, e tutte le più insulse fanzines (Vanity Fair in primis) pubblicavano distrattamente articoli sulla presunta sieropositività della piccola eletta, colei che avrebbe risollevato le sorti di una storia in decadimento, Frances Bean Cobain. Interviste, pressioni, ferrea routine: questo volevano da Cobain, impartirgli ordinarietà esistenziale, come un attore mediocre prescelto per salvare l'immagine di una classe imprenditoriale. Un colletto bianco da comandare a bacchette di eternit.
Ora, se la consolazione non possedeva nomi quali Courtney Love o Billy Corgan, che se la "lavorava" mentre Kurt, consentitemelo, timbrava il cartellino, le cose stavano andando abbastanza nel verso contrario, oltrechè incongruo. Ed ecco l'idea, come ci si aspetta dagli eclettici, come ci si aspetta dai dannati. Idea partorita in un braccio della morte infinito, senza sbocchi di luce, nel quale egli stava consapevolmente rinchiuso in attesa di esecuzione. Ma come in ogni miglio verde che si rispetti, ogni condannato ha diritto ad essere assolto da un servo di Dio, e per Kurt Cobain questi fu William Burroughs. Vestito a lutto, Burroughs sentenziò la propria parabola di inter-esistenzialismo alla suonatissima età di ottant'anni circa. Parabola fatta di ritmi blandi e costrittivi a tal punto da essere spudoratamente squallidi per la loro compostezza. Parabola assimilata a tal punto da Cobain, da essere stata quanto il suo ultimo "pasto". Del brano che dura circa nove minuti e quindici secondi, io poco vi posso raccontare, perchè quello che mi ha trasmesso con la sua razionale acidità di pedali stuprati e mal trattati da una prosa simile ad una maledizione, è sin troppo intimo, personale.
Fottutamente maledetto. Nessun commento potrebbe influenzare le vostre idee sulla registrazione in questione, perchè va proprio ascoltata per potersi cimentare in scambi di sfumature emozionali. Un raro esempio di come il suono, quello impuro, quello non-vergine, possa essere il perfetto legante con le parole di un saggio ed irrazionale maestro. Che poi Christ Novoselic abbia posato in tenuta da prete per la copertina del suddetto brano, beh, quello spiega tutto, non trovate?
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