Giunti al quarto album e con un curriculum vitae che depone a loro favore, almeno per quel che concerne le critiche che la stampa ha riservato alla formazione norvegese nel corso di tre lustri di vita discografica, i Keep Of Kalessin (nella line up, in passato, sono transitati anche Frost e Attila Csihar) non hanno invece mai trovato un'accoglienza entusiasmante nel sottoscritto. E pure con il nuovo lavoro, "Kolossus", pubblicato a due anni di distanza dal precedente "Amanda", dimostrano di non essere in grado di apportare valori aggiunti significativi. Da qualche parte ho letto che la loro interpretazione della materia black metal potrebbe essere considerata "perfetta", ma "perfetta" nel senso che è la somma, accostamento se preferite, di quanto già composto e suonato in ambito black e quindi lo "sforzo" fatto dal quartetto non va oltre il riproporre, in bella calligrafia, le idee altrui e renderle appetibili, visto che la forma espressiva veicolata non è mai ferale, ma preferisce sempre affidarsi alle melodie, magari epiche e grandiose o di tradizione metallica classica, e qui si introduce quello che è il vero elemento caratterizzante del gruppo nella sua veste attuale. Infatti, per la maggioranza delle nove canzoni, risulta complicato parlare di black metal in senso stretto, perché in più di una circostanza a dominare la scena sono trame sonore che stanno tra il power, il death scandinavo, lo speed ragionato e passaggi orchestrali e sinfonici; certo poi al tutto si è voluto dare una verniciata nera, però neppure troppo convinta. Disco curato nei dettagli, tecnicamente ineccepibile, ma carente di sostanza e abbondante di apparenza e sin troppo scontato.
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