Nella lunga lista di films che non ci faranno mai vedere in televisione, vi consiglio la visione di uno dei più estremi: "I Diavoli" del regista inglese Ken Russell, anticipandovi anche che le cronache raccontano di un giornalista de "L'Avvenire", incaricato di scriverne una recensione alla sua uscita nelle sale (1970), che fu licenziato dal quotidiano cattolico, perché, in maniera sin troppo personale e senza rispettare evidentemente le direttive editoriali, aveva osato parlare bene dell'opera in questione.

Come avrete capito, "I Diavoli", che si avvalse della partecipazione di attori del calibro di Oliver Reed e Vanessa Redgrave, fu fortemente inviso alla Chiesa Cattolica e, per questo, osteggiato dalla stessa e da ampi settori dell'opinione pubblica, nonché snobbato dalla critica dell'epoca.

Gli aggettivi per questo film si potrebbero, in effetti, sprecare: mi vengono in mente, di primo acchitto, "violento", "eccessivo", "esagerato", "grottesco, "disturbante", "paradossale".

Insomma, ragazzi, un vero e proprio capolavoro che ha semplicemente il merito di raccontare una storia vera nel miglior modo possibile, e, cioè, cercando di attenersi il più possibile alla realtà storica e documentata dei fatti.

Tutti sanno, infatti, quanto la Chiesa cattolica si fosse macchiata nel passato più o meno recente di ogni sorta di crimini e di efferatezze, torturando coloro che definiva eretici (in realtà, avversari politici), bruciando in pubblica piazza migliaia di donne perché intimoriti dal genere femminile o per semplice superstizione, di quanto fosse assetata di potere politico ed economico che riversava sui suoi sudditi sotto forma di potere spirituale, utilizzando le armi della scomunica e dell'interdizione, di quanto fosse corrotta, ottusamente ignorante ed infinitamente più peccatrice di coloro che doveva redimere.

Tutto questo è sapientemente narrato da Ken Russell nel suo opus cinematografico, attraverso una serie di scene forti e grottesche allo stesso tempo.

Il pregio de "I Diavoli" è proprio quello di non risparmiare nulla allo spettatore delle contraddizioni clericali, buttando nel calderone scene al limite del sostenibile fatte di sesso, finti esorcismi, più o meno reali possessioni demoniache, cieca violenza, costumi eccentrici e rappresentazioni al limite dell'assurdo.

Finzioni cinematografiche che rappresentano quello che è successo realmente in modo infinitamente più cruento e che, ovviamente, il perbenismo della maggioranza dell'opinione pubblica sia osservante o meno, non poteva (e non può) certo vedere di buon occhio.

Insomma, con lo stesso ardore con cui le alte sfere del cattolicesimo hanno elogiato la Passione di Mel Gibson, hanno pesantemente criticato e censurato la Passione di Padre Grandier, agnello sacrificale al cospetto della volontà del cardinale Richelieu di annientare l'autonomia politica e religiosa delle comunità locali, divenute un pericolo per la potenza del clero centrale.

Da molti critici si è osservato come il processo e la passione di Padre Grandier richiami quella subita da Giovanna D'Arco nel film diretto da Dreyer qualche decennio prima, con la differenza fondamentale che la Pulzella D'Orleans era una vergine eroina che rinnega Dio per lenire le sofferenze corporali inflitte dai suoi aguzzini, mentre Padre Grandier (ripetesi - grandissima interpretazione di Oliver Reed) un dissoluto peccatore che difende sino in punto di morte la sua fede, non cedendo a torture e vessazioni di ogni genere.

In questa differenza si racchiude tutto l'altissimo messaggio regalatoci da Russell.

In conclusione, questo è un film che può tranquillamente stare nella vostra videoteca al fianco di altri capolavori dell'eccesso di quegli anni come "Arancia Meccanica" e "Il Cane di Paglia" e che non ha riscosso il successo che meritava soltanto per la scomodità del tema trattato.

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