Fa quasi tenerezza vedere le foto all'interno del disco di questo ragazzetto insieme a gente che potrebbero essere dal fratello maggiore, al padre e pure al nonno. Bella faccina, espressione furbetta e la chitarra sempre con lui.
Ma si può vedere un adolescente che invece di andare alle feste liceali a divertirsi con i coetanei (e le coetanee soprattutto) va in giro a suonare con dei vecchi?!
Poi leggi, ascolti e capisci. Il perché ad inizio anni novanta, quando tutti provano ad esplorare ed inventare nuove sonorità, questo ragazzo suona il blues. Ma neanche un Blues "nuovo", contaminato da altri generi, proprio Blues, come se saltasse fuori da un locale sporco e fumoso dell'era che fu. E qui ci siamo: se ti prendono i demoni del Blues (da bambino, poi) e' così, non c'è pezza, anzi devi esser loro grato e trattarli bene, fidatevi del nobile (quelli della Louisiana, nel suo caso, dicono siano tremendi).
Si dice che ad accendere la passione del ragazzo siano state la collezione dei dischi del padre e l'aver visto a sette anni un concerto di Steve Ray Vaughan.
Ci voleva questo ragazzo ed il suo album per svegliare in quegli anni la vecchia guardia decrepita e "naturalmente" rincoglionita del rock. Stones e Van Halen i primi dinosauri che all'epoca furono folgorati da Kenny Wayne e dal suo album.
I riferimenti al suo idolo Steve Ray Vaughan (e quindi, a ritroso, ad Hendrix) sono più che evidenti, con più di una strizzata di maroni a ZZ Top, Black Crowes e all'immenso Rory Gallagher in alcuni pezzi più duri. La sua chitarra, in questo disco, e' un prodigio: selvaggia e scatenata, ma anche pulita e professionale, pure troppo per me. Riesce, e riuscirà ancor di più in futuro, a fondere il blues al rock nelle sue forme più diverse e quindi a raggiungere un pubblico più ampio che non quello, ormai alla fine naturale (cioè sono proprio morti tutti o quasi per capirci) del Blues del Delta; cose che solo ai grandissimi guitar hero specifici e' riuscita (Gallagher, Vaughan, Winter).


Oggi dopo ormai oltre vent'anni di carriera, un paio di dischi di platino, nomination e premi vinti, il ragazzo e' una certezza. Ha suonato con tanti grandi, da Dylan agli Eagles, dai Rolling agli Aerosmith, dai Lynyrd agli Allman, Van Halen e James Gang e molti ancora. Da poco ha creato anche i ""Rides" con Stephen Stills (si, quello proprio) e Barry Goldberg ( Electric Flag).
E per finire e' arrivata anche la dedica della Fender con una chitarra a lui dedicata, come solo ai grandissimi (guarda caso la stessa di Hendrix e Vaughan).
Tutto questo successo però sembra non aver cambiato (o non più di tanto) Kenny e la voglia di fare la sua musica. E' riuscito a mettere d'accordo critica e pubblico e ciò non mi sembra accada spesso. Probabilmente perché e' uno vero, che ha ancora voglia di raccontare le storie della sua musica senza tempo e contaminarla con i generi affini; perché quando e' sul palco sprigiona energia e sfrontatezza, perché e' semplice e intenso allo stesso tempo. Fuori dal palco e' l'opposto, timido e introverso con poca voglia di stare sotto i riflettori che non siano quelli mentre fa suonare la sua chitarra che ti spacca l'anima.


Mentre scrivo mi viene in mente che suo coetaneo e' tal Joe Bonamassa altro enorme talento che nasce con il blues nelle vene. E guarda caso mentre purtroppo in quegli anni ci lasciano Rory e Stevie Ray, il destino ci manda questi due ragazzi.
Col cazzo e' il destino! E' il Blues che non ci lascia mai soli, sono i demoni che provvedono in merito.
E comunque, con tutto il rispetto per Bonamassa, mi tengo Shepherd, (molto) più vicino a me.

Per capire subito di cosa si tratta, se volete, ascoltatevi la title track. Sei minuti di pandemonio blues con chitarra, basso e batteria che fanno paura. Ah si perché, dimenticavo, con lui c'è sempre una grande band.

"Chi non ama il Blues ha un buco nell'anima" si leggeva sul muro di un vecchio negozio di dischi del Mississippi... perché ricordiamoci che tutto o quasi di quello che abbiamo ascoltato dopo fino ad oggi, senza quelle vite, quei dolori, tragedie, passioni tramutate in musica, non esisterebbe.

Viva il Blues, viva i demoni.
Buon ascolto.

Più avanti farà un album con grandi bluesman ("10 Days Out: Blues From a The Backroads" o qualcosa del genere), un documentario di 10 giorni dove gira il paese per suonare con i migliori artisti del blues. C'è una "vecchia", bellissima rece di Hal su debaser, cagata da pochissimi purtroppo.



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