Quattro anni, un bel periodo di pausa per riordinare un po' le idee e poi si riparte, altro giro altra corsa, la storia dei Killing Joke si arricchisce con un nuovo, esaltante capitolo; con lo stupendo "Extremities, Dirt..." del 1990 Jaz Coleman, Geordie Walker e soci avevano fatto prepotentemente irruzione nell'ambito metal, con cui avevano comunque flirtato con più o meno intensità fin dagli albori del loro viaggio artistico, "Pandemonium" prosegue sotto molti aspetti il discorso intrapreso dal suo predecessore, ma per molti altri se ne discosta, ricerca nuove sonorità e stili espressivi, cambia le carte in tavola, si esprime in un linguaggio differente. 

In "Extremities..." a colpire era soprattutto la durezza, la rabbia, i testi espliciti, "Pandemonium" invece dà più spazio al lato sciamanico e rituale dei Killing Joke: le liriche sono più sfumate, allusive, a tratti introspettive e poetiche, incentrate più sull'uomo e sui suoi istinti che non sul contesto che lo circonda; per quanto riguarda l'aspetto più strettamente musicale la chitarra di Geordie Walker si fa ancora più dura e metallica del precedente capitolo, ma a dominare è senza ombra di dubbio la componente ritmica, un groove incessante, il groove di una lunga danza rituale in più atti, il rito di una tribù animista post-industriale, con basso, batteria e sintetizzatori al posto dei tradizionali tamburi e maracas, e lo stregone Jaz Coleman ad intonare i canti ancestrali.

Questo è un album di ritmo che fa muovere, che fa ballare: canzoni come "Exorcism" e "Whiteout" sfoggiano strutture monocordi e ripetitive, in senso positivo, mantra ipnotici interpretati da un Jaz più acido che mai, che per gran parte dell'album sfoggia il lato più animalesco della sua voce, un latrato profondo ed imperioso. Esulano da questi stilemi episodi come "Pandemonium", brano elegante, immaginifico e visionario, arricchito dalla presenza di un violino che aggiunge una coloritura mediorientale ai riffs granitici di Geordie ed al basso ipnotico del rientrante Youth, l'affascinante midtempo "Communion", anch'esso arricchito da percussioni ed orchestrazioni arabeggianti che danno vita ad un antico rituale ultraterreno, un'apparizione, l'evocazione di un mondo spirituale e l'atmosfera malinconica e disperata di "Jana", in cui anche il basso di Youth si fa più gentile e la voce di Jaz si ammorbidisce per intonare un triste cantico in cui affiora in tutta la sua malignità lo spettro dell'AIDS, che falcia una giovane vita come un subdolo angelo della morte.

 La componente predominante di "Pandemonium" è però il ritmo, un ritmo che conquista, un ritmo epico e travolgente che si palesa in tutta la sua forza in un brano come "Millennium", geniale, trascinante, anthemico, con un chorus immediato ed irresistibile che mette in mostra tutte le capacità melodiche di Jaz Coleman, che emergono anche dalla rockeggiante "Black Moon", con Martin Glover assoluto protagonista. Degne di nota anche la drammatica "Pleasures Of The Flesh", un viaggio allucinato nell'istinto più primordiale dell'uomo ed infine l'ultima danza, "Mathematics Of Chaos", in cui giganteggia un beat continuo, incessante, immutabile, che smuove da dentro in un'atmosfera da dancefloor apocalittico, una trance robotica che si snoda per sette minuti abbondanti.

 "Pandemonium", il nono album dello Scherzo Assassino è nient'altro che una grande conferma, se mai ci fosse bisogno di confermare ulteriormente, dopo una simile carriera, le doti di eclettismo e di genialità di questo gruppo. "Extremities..." ci aveva mostrato i Killing Joke più arrabbiati e cupi, "Pandemonium", con ispirazione, equilibrio e senso melodico non comuni li restituisce ad una dimensione più immaginifica. Album eclettico, magniloquente, raffinato, affascinante, leggermente inferiore al suo predecessore in termini di vis ed urgenza espressiva ma comunque maestoso, questo è l'aggettivo che più gli si addice, a con questo chiudo il secondo capitolo di questa mia breve retrospettiva su questi Killing Joke ingiustamente dimenticati. 

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