Un ragazzino viene evirato dalla madre.

Si fa trapiantare il pene del padre.Quest'ultimo, però, lo rivuole indietro quando la moglie vuole ciularsi il figlio....

Il semplice riassunto della trama di questo "Moebius" (2013, fuori concorso al Festival di Venezia) basterebbe a far capire quanto il celebre regista sudcoreano Kim Ki-Duk si è montato la testa dopo il Leone d'oro dello scorso anno, peraltro vinto con Pietà, un film crudo e pungente, a mio modesto parere degno d'interesse ma tutt'altro che brillante o quantomeno convincente.

Forse non sono esattamente da considerare un suo fan invasato, ma nemmeno mi riconosco nelle critiche di chi, dopo il sublime Ferro 3, non è più riuscito ad apprezzare nulla: i tanto bistrattati Time e L'arco, seppur pregni di autocitazioni (non sarebbero gli unici) e così diversi tra loro, non hanno quasi nulla da invidiare a classici come Primavera...L'isola e il già citato Ferro 3. Volendo spingerci più in là, anche il bizzarro ma affascinante Soffio riesce nell'intento di ampliare (senza tuttavia proseguire) la poetica di Kim, da sempre contraddistinta da dolore e lirismo, amore e travaglio (fisico e non).

Che la parabola discendente sia iniziata l'altro ieri, dieci anni fa o mai poco importa, perché sono sicuro che devoti, ammiratori e detrattori converranno sul fatto che "Moebius" è il peggior episodio nella filmografia del regista. Ciò che all'inizio si era preannunciato come un film piuttosto violento (in Corea è stato tagliato di 21 scene), a conti fatti sembra solo un disastroso e grottesco tentativo di scandalizzare vecchine e benpensanti, senza che dietro questo teatrino di situazioni a dir poco inverosimili si possa scorgere qualsivoglia urgenza comunicativa o messaggio morale; e, anche se volessimo trovarli col lanternino, sarebbero comunque del tutto campati per aria.

Se a livello registico non trovo nulla da rimarcare sia in positivo che in negativo, certe vicende meritano d'altro canto di essere menzionate: peni evirati e poi ingoiati, peni evirati e trapiantati ma poi di nuovo richiesti indietro, peni evirati e poi spetasciati dal camion di passaggio, orgasmi senza pene, stupri senza pene, masochistici autoerotismi con l'ausilio di pietre, masturbazioni incestuose, coltelli conficcati nella schiena e poi masturbati (?) con nonchalance, scoperchiamenti mammari a random, gente che si smutanda in continuazione, parecchie autocitazioni inconcludenti se non proprio rovinose (imperdonabile quella di Ferro 3), solita mancanza di dialoghi stavolta compensata da ridicole ricerche su Google (!) per mandare avanti la trama, un mare di nonsense e Dio (anzi, Buddha) solo sa cos'altro.

Armandosi di autocompiacimento e autoindulgenza, il vecchio Kim si è dato un bel da fare per provocare a tutti i costi il proprio pubblico, ma ha finito per tratteggiare una clamorosa, delirante autoparodia dai risvolti pseudo-familiari, pseudo-psicoanalitici e pseudo-religiosi. Tutto qui.

Un film drammatico più negli esiti che nei contenuti. Una porcata che giudicherei completamente inguardabile se soltanto non fosse riuscita a strapparmi ben più di una risata. Proprio in virtù dello spasso procuratomi, lo (s)consiglio vivamente.

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