Se qualcuno - ma presumo che siano in pochi - mi dovesse chiedere cosa penso del defunto Ian Lowery, io risponderei che credo sia stato una cazzo di leggenda. Una leggenda underground. Un artista dotato di grande talento che avrebbe meritato molto più successo di quanto non ne abbia avuto.

Era il 1988 ed io lavoravo (o per meglio dire ero un donatore di lavoro) per Radio Città Futura (nel caso qualcuno la ricordasse) mentre tentavo di dare qualche esame all’Università.

La sede della Radio si trovava in una via del centro, all’ultimo piano di un edificio fatiscente e senza ascensore. Ero in anticipo di quasi un’ora rispetto all’orario in cui dovevo andare in onda. Le scale erano ripide e poco illuminate. Arrivai su con il fiatone. Entrando salutai i ragazzi del GR che stavano montando l’edizione della sera. Su una delle scrivanie c’era un pacco di cartone che a giudicare dalla forma poteva contenere solo dei vinili. Non era una novità, pacchi simili se ne vedevano spesso. Di solito era materiale promozionale spedito dalle case discografiche (eh…altri tempi), soprattutto dalle etichette indipendenti italiane, come Electric Eye, I.R.A., Hiara Records, Toast Records, ma anche da etichette straniere che erano distribuite in Italia dalla Ricordi. Il pacco era già stato aperto. All’interno c’erano una decina di LP, ma ne ricordo distintamente solo uno. Il nome del gruppo o dell’artista non mi diceva niente, ma mi colpì l’immagine di copertina che era stranamente familiare. La osservai bene ed ebbi un’illuminazione. La copertina somigliava incredibilmente a quella di Bringing it All Back Home di Bob Dylan. Lo scorcio di una stanza con due persone sedute; un uomo in camicia bianca e giacca nera (Dylan, nel primo caso, ed uno sconosciuto dall’espressione seria nel secondo) e, leggermente in secondo piano, una donna dai capelli neri con un abito rosso ed una sigaretta tra le dita della mano destra. La foto dell’album di Dylan, però, è incorniciata da un bordo bianco, mentre nel disco che mi trovavo tra le mani era incorniciata da un bordo nero, dove in alto campeggiava la scritta KING BLANK THE REAL DIRT. RE VUOTO e poi il titolo dell’album, LA VERA IMMONDIZIA (oppure il vero sudiciume, chissà…). Tutto il contesto stuzzicava molto la mia curiosità. Approfittando del fatto che in quel momento non stavamo trasmettendo in diretta, entrai nello studio e misi il disco sul piatto. L’album era accompagnato da una nota di poche righe battute a macchina su carta intestata della Ricordi ma non ricordo cosa ci fosse scritto. Sulla busta interna erano stampati i testi e pochissime altre informazioni. Infilai le cuffie ed appoggiai la puntina sulla traccia iniziale del vinile lucido e nero.

Ian Lowery (1956-2001), nato ad Hartlepool nel nord-est dell'Inghilterra (in precedenza membro fondatore e cantante dei The Wall e degli Ski Patrol), nel 1987, in seguito allo scioglimento dei Folk Devils, si ritrova ad avere un contratto discografico con la Beggars Banquet senza, però, avere una band. Lowery decide, quindi, di arruolare il polistrumentista gallese Nigel Pulsford, l'ex chitarrista dei Folk Devils Kris Jozajtis, il bassista Hugh Garrety e il batterista australiano Kevin Rooney per suonare il materiale da lui scritto e composto. Nasce King Blank, che l’anno successivo pubblica The Real Dirt e vi assicuro che il titolo non descrive il contenuto dell’album.

L’apertura è affidata a “Howl Upside Down”, che Lowery definisce un plagio del romanzo di Jim Thompson, Savage Night. Chitarre acustiche ed elettriche che si incrociano veloci in uno psychobilly da fare invidia ai Gun Club. Segue “Blind Box”, un brano trascinante, uno dei migliori del mazzo, in cui il Garage si traveste da new wave. “The Real Dirt”, il capolavoro del disco, affascinante e misteriosa, si snoda sinuosa su un tappeto d’organo seguendo la linea melodica della chitarra, mentre la voce romanticamente ironica (o ironicamente romantica, fate un po’ voi) di Ian ci conduce in una visita guidata del suo “inferno perfetto, paradiso disperato”. La successiva “Big Pink Bang” è una ballata schizofrenica e sincopata, caratterizzata dalla contrapposizione di sezione ritmica e chitarre. “Guilty as hell”, potrebbe essere una canzone apocrifa di Johnny Thunder in cui fanno irruzione gli Stooges accompagnati da Steven Mackay al sax. “Map of Pain” è uno shuffle Blues cantato con attitudine new wave. “Shot Full of Holes” è puro e travolgente Garage-punk. "Killer In The Rain" è una murder ballad con un giro Blues ipnotico e minaccioso, resa ancora più inquietante dalla voce profonda e distaccata di Lowery, il quale la definì “una canzone orribile” e spiegò che è ispirata al caso del Green River Killer (un serial killer, condannato all’ergastolo per aver ucciso almeno 49 prostitute tra il 1982 ed il 1998. Ergo nel 1988 era ancora in attività!). Al contrario, "Uptight" è estremamente orecchiabile. È una canzone "Sullo spreco totale di uno stile di vita edonistico", costruita su una melodia che ricorda i Velvet Underground di “I’m Waiting for my Man” (ma chi negli eighties non è un figlio illegittimo dei Velvet?!). La conclusiva e bellissima “Bullett proof crucifix” ha il tasso alcolico dei Pogues colti da un attacco di blasfemia ad un raduno Country & Western.

In quella sera del 1988, il clack di fine corsa del braccio del giradischi mi avvertì che il lato B era terminato. La luce stroboscopica arancione si spense lasciandomi un po’ imbambolato. “Che gran disco!” pensai togliendomi le cuffie. “Ma chi sono ‘sti King Blank?”. Spulciando le note di copertina vidi che il cantante, Ian Lowery era anche l’autore di tutti i brani. Ma altri interrogativi si affollavano. Perché King Blank aveva imitato la copertina del disco di Dylan? Era un omaggio o una presa per il culo? La musica non aveva molto a che vedere con Dylan… o forse tra quelle canzoni, malgrado la matrice Post-punk, aleggiava realmente l’ombra del vecchio Bob? In un certo senso il Dylan post svolta elettrica era stato un proto-punk e poi Dylan c’entrava sempre perché, come diceva un mio amico, Dylan è Dio.

Guardai l’orologio e mi resi conto che era quasi ora di andare in onda. Lasciai il vinile sul piatto. “Stasera comincerò con King Blank!”, pensai mentre Ian Lowery mi fissava, serio, dalla foto di copertina.

Carico i commenti... con calma