Da qualche mese ero passato da Gloria Gaynor ai Floyd di Ummagumma. Su consiglio di Orsetto, mio compagno di banco, mi ero comprato la cassettina (che allora si andava ancora a cassettine e mangianastri), quella originale però, anzi la mia prima cassettina originale da tremilacinquecento lire.

Non quelle tarocche a cui ero abituato, misti del Lucio nazionale o del mio meglio numero tre di Mina. O peggio quelle compilation con le hit del momento, dove però avevo scovato "Reach out", che allora mi sembrava un pezzo della madonna.

Di "Ummagumma", album doppio di cui presi solo la parte live, mi attirava soprattutto il mistero di quel titolo.

E anche il gioco di specchi della copertina prometteva bene.

L'ascolto poi fu la rivelazione di un altro mondo a cui faticavo a credere, senza sapere ancora che, ben presto, quel mondo se lo sarebbe ingoiato tutto intero una placida mucca, risputandolo molto più stinto e annacquato.

Una cosa comunque era certa: quella era la musica che volevo ascoltare, Battisti, Mina e Gloria Gaynor potevano gentilmente accomodarsi nei cassettini della memoria e accontentarsi ogni tanto di mandare un piccolo bagliore.

Il mio babbo allora faceva il giornalaio, per cui potevo leggermi "Ciao 2001" e "Nuovo sound". C'era anche "Gong", ma mi risultava un po' ostico, visto che avevo tredici anni. forse addirittura dodici..

In breve, si fa per dire che forse riuscivo a prendere una cassettina al mese, riuscii a farmi una mini discografia quasi tutta progressive.

"Trespass" dei Genesis, "Godbluff" dei Vdgg, "Live in Usa" della Pfm, "Burn" dei Deep purple, "Felona e Sorona" delle Orme, una antologia del Banco di mutuo soccorso per il mercato inglese.

PFM e Banco non mi dispiacevano, il resto non mi faceva impazzire.

E così la mia delizia rimaneva "Ummagumma".

La vera scoperta semmai furono le stravaganti parole di un certo Francesco, cose tipo "è troppo tempo amore che noi giochiamo a scacchi, mi dicono che stai vincendo e ridono da matti" o quello sposo che diceva "ma io non ci sto più e i pazzi siete voi".

Poi, un giorno, Orsetto mi raccontò di una festicciola a casa sua dove il fidanzato di sua sorella, un certo Enrico, ubriaco gridava "no, no i King Crimson, no, no no, non toglietemeli!!!"

Qualcuno aveva cambiato il disco e lui protestava vivacemente.

"Ma come sono questi King Crimson, Orsetto?"

"Una figata."

Proprio in quei giorni era uscito un doppio antologico. Io trovai, e già fu un miracolo, la seconda parte. Vivevo (e vivo tuttora) in una piccola città e le scorribande dal mitico "Nannucci" di Bologna cominciarono solo molto più tardi.

Anche se, a leggere oggi il programma del disco uno e del disco due, il primo appare decisamente il migliore, fu un bel colpo.

Tipo "Ummagumma" e anche meglio.

Per mesi quella cassettina rimase nel mangianastri.

Tanto per cominciare, c'erano le tre più belle ballate crimsoniane di sempre: "Night watch", "Book of saturday", e "Moonchild".

Che dire, in queste tre canzoni, c'è davvero un pezzettino del mio immaginario, quello più dolce e malinconico...il mattino e la notte..., l'ora incerta ...e una specie di nebbia che nasconde e rivela...

Soprattutto "Moonchild" che ha la luce dei tarocchi femminili e notturni, la magia folkie di una rete di significati appena accennati, la forza guaritrice di un sussurro o di un gesto che in quella rete fluttuano come in un sogno, proprio come il lievissimo battito rimico della favolosa batteria di Mike Giles.

Infinitesimale, morbida e soffusa con una melodia che non è di questo mondo e una voce che sembra essere in una sordina fatata che anzichè spegnerla l'avvolge di luce.

“Moonchild” è musica per quello strano Shreck metafisico, sorta di sorridente divinità dagli occhi tristi e dalla faccia di luna, che compare all'interno della copertina di " In the court", il loro epocale primo album.

Secondo Robert Fripp, quell'essere sarebbe addirittura il Re cremisi in persona.

Non parlo ovviamente dello "schizoid man" urlante della front cover,

Parlo di Shreck.

Ma torniamo a "Moonchild", che in realtà durerebbe dodici minuti, e non meno di tre come qua.

Ah. e un peccato che manchi quel che "In the court" vien subito dopo, ovvero un incredibile sperimentazione free form, impalpabile, liquida e colma di magie notturne che diventano via, via sempre più dissonanti...

Peccato che manchi, anche perchè è il miglior modo per arrivare, carichi di senso di attesa, a "In the court of the crimson king", che qui è presente, anzi presentissima.

"In the court of the crimson king" è una sorta di monumentale folk song, con sinfonismi un pochetto pacchiani (solo un pochetto?) e ghiribizzi di flauto, favoloso abbecedario (del meglio e del peggio) del prog a venire.

Allora, da bimbetto, mi mandava in solluchero. Oggi uguale, anche se è soprattutto quella melodia senza tempo a piacermi e il resto fa a botte con un altro bimbetto, quello post punk. Ma non fa nulla, che i cuccioli è bene che si sfoghino.

Poi ci sono le altre due melodie senza tempo...non così fatate, come la bambina della luna e il re, certo, ma senza tempo pure loro...

"Night watch" parte con la delicata cacofonia dell'elettrica di Fripp, al quale poi si aggiungono dolci sferragliamenti, un violino favoloso e dio sa cos'altro in una improvvisazione che raggiunge impalpabili vortici di delicatezza avantgarde...poi ecco la melodia crimsoniana, struggente e magica, e una chitarra che quasi piange...

"Book of saturday" è solo una bella canzone forse, ma di quelle che non ti lasciano più. In "Larks tongues in aspic", se ne sta li, come isola di riposo dopo il viaggio avventuroso di una title track che è uno dei loro brani più belli di sempre, sospeso com'è tra folli magie percussive, free form e riff assassini di una chitarra lontanissima dalle convenzioni rock.

Qui in "A young person's guide" ne è inserita solo un piccolo frammento, che è una scheggia di diamante grezzo di appena qualche minuto, sufficiente, allora come oggi, a farmi andare fuori di testa. Una cosa che dal nulla va all'apoteosi, un unduetre che è fiume tumultuoso, cascata, e mulinelli che finiscono per diventare acque tranquille.

Poi c'è uno strumentale privo di percussioni, una magia di mellotron, violino e flauto:“Trio”

"Trio" è uno strano e delicato acquarello che parte con un pianissimo di suoni che si fanno poi sempre più lunari e squillanti...

E' un trillo di creature notturne in un crescendo di infinitesimi..

E' una meraviglia.

In questo dischetto antologico, che è solo, lo ripeto, la seconda parte della guida al giovane ascoltatore, c'è solo una pezzettino del pianeta cremisi, quella più romantico.

Certo, ci sono le eccezioni della coda di "Lark's tongues in aspic" e di "Cat food" e "Groon", schegge appuntite di suono ultramoderno e nervoso, ma è il lato romantico a prevalere.

Ascoltando il disco uno, con i suoi incredibili carichi da undici, le cose cambiano. Li gli esempi della potenza crimson ( un monolite sempre pronto a esplodere, ma come trattenuto e ancorato a se stesso) non mancano.

Ma per me in questo doppio album il disco uno non esiste. No l'ho nemmeno mai ascoltato.

E al due voglio davvero bene.

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