Anno 2000. Il Re torna sulle scene dopo 5 anni dal precedente "THRAK". Il ritorno sulle scene è segnato da, appunto, "The ConstruKction Of Light" (notare il gioco delle "K" antecedenti alle "c" in modo che si formino le iniziali del gruppo).

Il disco rompe molto rispetto al predecessore, legandosi maggiormente alla seconda metà di "Three Of A Perfect Pair". Ed il mondo che esce fuori dall'album è la celebrazione del sintetico.

Il gruppo pare aver deciso di svoltare sulla strada di una specie di minimalismo, che, però, consentitemi l'ossimoro, sembra, talvolta, "barocco", come nella (ipnotica) title-track, dove un fittissimo dialogo chitarristico è il padrone assoluto della prima parte, lasciando posto al cantato di Belew nella seconda, il tutto sostenuto da una base formata dall'ottimo Trey Gunn alla warr guitar (non chiedetemi cosa sia :-P) e da Pat Mastellotto alla batteria (personalmente ritengo che avrebbe fatto meglio a dedicarsi al bungee jumping, ma, d'altronde...).

L'album sembra diviso fra la voglia di essere spontaneamente (per quanto i KC possano essere spontanei) aggressivi, come nell'iniziale "ProzaKc Blues" od in "Into The Frying Pain", ed un istinto che porta a composizioni più lunghe e cervellotiche, come la già citata title-track oppure come la "FraKctured", ottima ripresa della composizione finale di "Starless And Bibleblack".

L'album, sotto questo profilo, è abbastanza innovativo (sebbene riprenda le mosse, come già ho detto, dal secondo lato di Three Of A Perfect Pair), ma nasconde un insidiosissimo tallone d'Achille; infatti, talvolta, le composizioni risultano, anche nei momenti più """spontanei""", troppo cervellotiche e pare che non riescano ad ingranare nei momenti in cui ci sarebbe bisogno di una buona scossa; anche la composizione più aggressiva, "Lark's Tongues In Aspic IV" (a quando la V?), sebbene potente, rimane troppo cervellotica e quasi prigioniera delle frippertronics (pardon, soundscapes), che pure intervengono pochissimo.

Insomma, è un album claustrofobico, talvolta piatto, e parrebbe che il gruppo abbia imboccato (per la prima volta) un vicolo cieco.

Discorso a parte merita l'ultima canzone, "Heaven And Heart", una improvvisazione live che potrebbe ricordare la schizofrenia di "Thrakkattak" e che può essere definita, rigorosamente IMHO, la migliore traccia del disco.

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