Inizio, traccia numero sei, per chi non tocca musica che non venga dal vinile secondo brano della seconda facciata.

Pochi, sommessi accordi, suonati così piano da Adrian Belew da elevare a strumento solista dell’intro del brano lo slit drum con cui Bill Bruford tiene il tempo, perfettamente disciplinato e regolare. Poi lo stick Chapman di Tony Levin, etereo ed impalpabile, un po' basso elettrico, un po' chitarra e un po' aria e ritmo, ad aprire la strada alla chitarra-synth Roland suonata dall’Alieno in persona, Robert Fripp, che spezza la pace con sonorità da tromba, squilli di richiamo che virano subito il brano verso una direzione psichedelica che, quasi alla fine del disco in cui lo stesso brano si trova, era del tutto inimmaginabile prendere.

Ma sono pochi respiri e subito Fripp prende per mano il brano e lo porta in quelle atmosfere oniriche e appiccicose, al limite della dissonanza, in cui tanto bene si trova e nelle quali il pubblico pagante così spesso si perde, piacevolmente, aspettando di capire dove il Genio vuole andare a parare.

Ingenui.

L’Alieno conosce la direzione da prendere ma le indicazioni per prenderla sono comprensibili solo a pochi adepti, tre, per la precisione. E, in un album di così larga innovazione stilistica, in cui le parti di chitarra sono spesso filtrate, sintetizzate, distorte e poi sputate fuori, l'incauto avventore che attende con pazienza un Fripp sognante in tinta cremisi, alla stregua di quello ascoltato anni prima, deve aspettare. Solo ora sappiamo che egli ancora aspetta.

E’ così il nullacrinuto Levin ad organizzare l’intermezzo, con sonorità arpeggiate più consone ad una chitarra che ad un basso, cavate con garbo dallo stick di cui fu mentore e precursore. Vederlo suonare il suo strumento multicorde e sentire le note che ne fa uscire è un’esperienza da fare, ci si chiede di quante dita debba disporre un uomo per ottenere tanto…..

E’ la volta di Belew, per niente intimorito dalla profondità delle note sgusciate dalle casse di Fripp, insomma, è o non è la prima volta che l'Alieno prende nella band una seconda chitarra? E ha scelto Adrian, mica pizza e fichi, un talento mostruoso che in quattro anni passa dalla band di Zappa a quella di Bowie periodo “Stage”, quindi ai Talking Heads, già new sensation della wave che sterzava di novanta gradi verso l’intuizione della world music allargandosi a dismisura e quindi, dulcis in fundo, al gruppo di Laurie Anderson, punta di diamante della sperimentazione minimalista per le masse, da un azzardo all’altro, sempre verso il futuro.

Il brano, intanto, chiarisce meglio le intenzioni del titolo, “Il cielo che dà asilo, riparo”, un’espressione, un simulacro, un tentativo di ossimoro che si esita ad intuire, perché davvero sentirsi al sicuro sotto la volta del cielo, di giorno o di notte, sa di concetto per pochi. Il brano, afferma Fripp, si ispira solo parzialmente e casualmente all’opera di Paul Bowles di cui sembra riprendere certi languori subito seguiti da furore e confusione, poi ancora languore e torpore.

E si torna a sognare, a perdersi in galassie e nebulose indistinte, a scovare mondi nuovi, quelli dentro noi stessi, gli universi più complicati che ci siano li abbiamo dentro….. sempre mollemente adagiati sul tappeto percussivo quieto e tribale del box di legno di Bruford, preciso e metronomico, una garanzia per I tre viaggiatori del trascendente mentre lui, tenendo il tempo, si occupa dell’immanente.

Finché il Capo riprende i fili del gioco, suona di nuovo l’adunata dei sensi a mo’ di tromba, ripetendo le note ieratiche e di richiamo con cui aveva iniziato e poi disperdendole, sciogliendole nelle nebbie liquide che donano calma e rilassano il respiro di chi ascolta, in una nemesi quieta e senza tempo. Fripp tende sempre, come fa da anni e farà tutta la sua vita, ad organizzare il disordine, creandolo, promuovendolo, allevandolo, per poi integrarlo in una disciplina che gli dà senso, lo erge a nuovo Creato.

Di nuovo gli accordi liquidi dell’inizio, di nuovo lo slit drum in primo piano, l'uomo che tiene il tempo si inchina impercettibilmente a chi ascolta, fa due passi indietro, di lato, senza smettere di suonare, sciogliendosi nell’ombra.

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