Flying Microtonal Banana, nono disco degli australiani King Gizzard and the Lizard Wizard e primo della cinquina di album che il gruppo psycho rock di Melbourne pubblicherà nel 2017, viene rilasciato a fine febbraio dalla Flightless Records in Australia, la ATO Records negli Stati Uniti e la Heavenly Records nel Regno Unito. Si guadagna fin da subito i favori di critica e pubblico, malgrado alla vigilia della pubblicazione, in virtù di un dichiarato e ambizioso intento riportato a manifesto dal sottotitolo dell’opera “Explorations into Microtonal Tuning, Volume 1”, in molti si fossero aspettati la prima stecca nella discografia della band di Stu Mackenzie. Un esperimento, quello della microtonalità, con il quale i Gizzard, a onor del vero, si erano già cimentati attraverso piccole incursioni nel precedente lavoro, Nonagon Infinity ma che adesso, evidentemente, sono pronti a sviluppare in un lavoro più strutturato. Breve ma doverosa divagazione per i non addetti ai lavori: la musica microtonale è quella musica, tipica dell’Asia, in cui si utilizzano scale che sfuggono alla logica logaritmica di accordatura in cui sono suddivisi i dodici toni e semitoni utilizzati nella musica occidentale, a favore di intervalli più piccoli, microtoni appunto, che restituiscono all’ascoltatore un senso di continuum o “dimensione musicale”. Forse proprio questa peculiarità intrinseca, in linea con la loro curiosa estetica, deve aver affascinato i King Gizzard a tal punto da dotarsi di strumenti con microtuning e misurarsi in questa sfida. Entrando più nel merito della questione, emergono subito degli aspetti positivi che è giusto rimarcare: già di per se il fatto che una band giunta ormai al nono disco, con alle spalle quello che forse è il miglior lavoro di sempre, Nonagon Infinity appunto, decida di accettare il rischio ed uscire dalla sua confort zone, denota una creatività e una curiosità ammirevoli, il fatto poi, che in questo esperimento, la microtonalità sia ben veicolata e funzionale allo scopo e non stravolga il sound acquisito, una sorta di equilibrio dinamico tra sovversione e comprensibilità, rende il risultato del tutto convincente. Certamente, si tratta di un disco non facile da digerire, specie al primo ascolto: se è vero, infatti, che la prima traccia e primo singolo estratto, Rattlesnake, ricordi ancora molto le atmosfere Garage, Stoner e low-fi a cui il gruppo ci ha abituati, con batterie molto serrate e una linea di basso che guarda all’hard rock classico, già con Melting l’atmosfera si fa ipnotica. La linea vocale è all’unisono con quella della chitarra microtonale, la sezione ritmica dispensa grooves con continui rimandi mediorientali, il tutto su di un multistrato di tastiere che eseguono scale cromatiche . La band si produce in una lunga jam che si fa ostinata nella successiva Open Water e si risolve in Sleep Drifter, portando ai limiti estremi la sperimentazione microtonale. La seconda parte del disco è, invece, più leggibile: le voci sono meno effettate, le chitarre più riconducibili al classico sound Gizzard, ma il disco non accenna a perdere di intensità: permane comunque una certa ostinazione nell’ottimo lavoro di batteria e nella linea di basso, mai banale. L’album si conclude la traccia che da il nome all’album, Flying Microtonal Banana, appunto, che congeda l’ascoltatore con atmosfere molto più Chill. Per concludere possiamo dire che il lavoro, nella sua interezza è molto ben prodotto, fresco, dinamico e divertente, anche se meno permeante rispetto al precedente album. L’idea è originale e ambiziosa, anche se dubito che Stu e compagni torneranno sull’argomento: l’esperienza microtonale è stata sicuramente esplorata in maniera esaustiva e forse lascerà echi in produzioni future, ma sembra chiaro che siamo di fronte ad un esercizio di stile e non ad un punto di volta. Ad ogni modo i King Gizzard si confermano gruppo molto solido e maturo, che sa suonare molto bene e che da l’impressione di poter scartare di lato a piacimento, ogni qualvolta ci illudiamo di averne intuito la traiettoria.

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