Kip Hanrahan è un mito per tutta la canzone afroamericana, è un grande percussionista, un ottimo compositore ma soprattutto un geniale direttore d'orchestra, nel senso di avere quella capacità di amalgamare tanti musicisti con i più diversi background. Nato nel Bronx nel '54, leggerete di lui che abbraccia tutte le varianti del jazz dal bebop al free al cool, ma di "freddo" noterete pochissimo, i suoi dischi sono caldissimi come questo "Vertical's Currency" del 1984.

La discografia è enorme e i contributi ad altri artisti non si contano. Si dice che i suoi concerti siano un'esperienza unica, una cascata di suoni afrocaraibici che non annoia mai. Le canzoni di questo disco sono delle sghembe linee melodiche che non vanno mai nella direzione che ti aspetti, i ritmi sono avvolgenti, ma non stiamo parlando di musica ballabile da club. I pezzi sono per lo più tirati con ritmi lenti e testi, pare, molto politici.
Se a personaggio si può paragonare questo è forse Arto Lindsay, che tra l'altro collabora in questa produzione insieme a Jack Bruce, Bill Laswell, Carla Bley e tantissimi altri musicisti che orbitano nella scena latina, includendo in questo termine anche le Hawaii. Sonorità leggere neanche a parlarne, in ogni pezzo traspare sempre una malinconia che non è solo saudade brasiliana ma qualcosa che ha origini più profonde, che parte dalla vecchia Europa e che avvolge l'intero continente americano.

Difficile non rimanere affascinati, difficile trovare altri musicisti che siano riusciti a creare questi melting pot sonori di altissimo livello. In "Describing It To Yourself As Convex" il cantato si inserisce in un tappeto di conga e in una chitarra che ricorda un po' lo stile di Pat Metheny e che alla fine con un giro molto complesso accompagna un sax. Ancora sax, ma meno distorto in "Dark", dove invece la voce sussurra note dolcissime. "Shadow Song" è un cha-cha spettacolare con un crescendo di orchestra di fiati che sboccia in un cantato notevolissimo.

Un acquisto di cui non vi pentirete.

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