Che li si ami o lo si odi, i Kiss hanno incarnato un modo di intendere il rock, soprattutto oltreoceano, fatto di arene stracolme, effetti speciali e canzoni tanto semplici quanto efficaci.

“Alive II” arriva nei negozi nell’ottobre del 1977, solo quattro mesi dopo l’ultima fatica in studio, “Love Gun”, e, come si evince dal titolo, è diretto successore dell’ottimo “Alive!” di due anni prima. Per capire come i Kiss fossero ormai una macchina da soldi basta dare un rapido sguardo alla discografia del periodo: otto LP in appena tre anni, qualcosa decisamente fuori dal comune persino per l’epoca. I piani originari prevedevano l’uscita di un nuovo album dal vivo già dopo “Rock And Roll Over” del ’76: i concerti erano stati registrati, tutto era pronto, ma alla fine si era preferito abbandonare il progetto, non convinti della qualità finale dei nastri. Naturalmente da anni circola il bootleg “The Lost Alive II”, incarnazione di ciò che sarebbe potuto essere e mai fu, autentica manna per collezionisti e fan sfegatati; tutti gli altri possono “accontentarsi” dell'album che tutti conosciamo.

La scaletta del vinile, saggiamente, propone solo materiale successivo al 1975, in modo da non riproporre brani già apparsi nell'”Alive” originale. “Detroit Rock City”, un vero e proprio inno, apre il lato A nel migliore dei modi, anche grazie ad un suono che mette in evidenza la potenza dei quattro, spesso fin troppo smorzata in studio, mentre “King Of The Night Time World” unisce carica e melodia e a risentirlo oggi sembra quasi anticipare la svolta disco di fine anni Settanta di “Dinasty”. “Ladies Room” e “Makin' Love” sono tutto sommato semplici, sembrano quasi rifarsi al rock’n’roll dei tempi d'oro ma senza restare impressi più di tanto; “Love Gun”, invece, un pezzo proto-metal impreziosito da un ottimo assolo, spiega il perché di tutte quelle toppe dei Kiss sulle giacche di tanti metallari. I pezzi cantati dalla sguaiata ugola di Gene Simmons non sono mai stati all’altezza di quelli interpretati da Stanley e non sembrano aggiungere troppo a quanto detto finora, mentre “Shock Me” è una vera sorpresa, finalmente con Space Ace dietro il microfono. Il pezzo è memorabile e sembra anticipare il grande successo dell'esordio solista dell’anno successivo, il tutto condito da un grande assolo dell’Astronauta. “Hard Luck Woman” è un altro cavallo di battaglia, “la più bella canzone che Rod Steward non ha mai cantato”, come l’ha definita qualcuno, dimostrazione del peso tutt’altro indifferente che Ace Frehley e Peter Criss avevano nell’economia del gruppo.

Si prosegue con la seconda parte del disco, che inanella un'altra serie di successi: “I Stole Your Love” e “I Want You” sono potenti e trascinanti, “Beth” sembra scritta per essere accompagnata dalle luci degli accendini e “God Of Thunder”, qui in una versione decisamente più veloce e convincente di quella apparsa su “Destroyer”, è un heavy metal senza fronzoli. Con “Shout It Out Loud” siamo ai saluti finali, con il pubblico in delirio. Il concerto è finito ma resta un'ultima facciata, che propone degli inediti in studio: conoscendo questo tipo di operazioni, aspettarsi dei semplici riempitivi sarebbe lecito, invece i brani sono validi e stupisce che siano stati letteralmente dimenticati anche dai loro stessi autori. “All American Man” dal vivo avrebbe funzionato benissimo, mentre “Rockin' In The USA”, col Demone Simmons al microfono, è un rock'n'roll scanzonato e ballabile. “Rocket Ride” è un'altra gemma dimenticata: Ace registra praticamente tutti gli strumenti, tranne la batteria, e il brano, riascoltato con senno di poi, sembra anticipare le sonorità della sua carriera solista, segno evidente di come Frehley avesse ormai la testa da un'altra parte. “Any Way You Want It”, omaggio ai Dave Clark Five, vede nuovamente gli americani alle prese con ciò che sanno maneggiare meglio, ovvero il caro e vecchio rock'n'roll. Il successo di vendite sarebbe stato clamoroso ma “Alive II” avrebbe comunque messo la parola “fine” al periodo d'oro dei quattro.

Il “giocattolo Kiss” aveva fatto il suo e qualcosa inizia a scricchiolare: lasciando perdere le critiche al disco per i ritocchi evidenti, va sottolineato come Frehley si fece vedere pochissimo in studio, costringendo gli altri ad ingaggiare al volo il turnista Bob Kulick, che suonò su buona parte del lato D. Per far calare una tensione ormai a mille la Casablanca Records giocò la carta degli album solisti, in modo che ognuno potesse prendersi una “vacanza” dai Kiss, ma la sensazione che si fosse all'ultima spiaggia era evidente. La parabola discendente degli americani ormai era alle porte e per tornare a livelli degni del loro nome si sarebbero dovuti aspettare gli anni Ottanta, con un suono, un look e una formazione completamente diversi. Decisamente un'altra storia.

Kiss:

  • Paul Stanley, voce e chitarra
  • Gene Simmons, voce e basso
  • Ace Frehley, voce e chitarra
  • Peter Criss, voce e batteria

“Alive II”:

Vinile 1:

  1. Detroit Rock City
  2. King Of The Night Time World
  3. Ladies Room
  4. Makin' Love
  5. Love Gun
  6. Calling Dr. Love
  7. Christine Sixteen
  8. Shock Me
  9. Hard Luck Woman
  10. Tomorrow And Tonight

Vinile 2:

  1. I Stole Your Love
  2. Beth
  3. God Of Thunder
  4. I Want You
  5. Shout It Out Loud
  6. All American Man
  7. Rockin' In The USA
  8. Larger Than Life
  9. Rocket Ride
  10. Any Way You Want It
Carico i commenti... con calma