"Fuggire dalla vita inoltrandosi in un'altra dimensione.

Purificandosi per la seconda volta.

Laggiù. Nel suo giardino segreto, geme la vergine sull'eden urbano.

L'adamo dei suoi sogni che la osserva nella sua candida castità.

Geme la ragazza che piange.

Geme la sua voglia di vivere.

Su Su Per La seconda volta vergine". 

 

Koji Wakamatsu resta uno dei registi più geniali di sempre.

Sempre poco citato, sempre poco conosciuto, eppure sempre con più assi nella manica che molti, tantissimi altri registi possono solo sognare. Questo regista nipponico è riuscito a dare un'anima al genere pinku-eiga (film erotici giapponesi), infarcendoli di quella catarsi poetica che a solo lui appartiene. Ecco che ogni sua opera, quasi sempre di durata esigua, nasconde un magnifico corredo di sfaccettature politiche, poetiche, violente. I film di Wakamatsu riflettono. Riflettono sui mali dell'uomo e li portano alla più alta perversione. Al loro apice.

E' un cinema che studia il crollo di qualsiasi ideale. Nichilismo su cellulosa, spiegato in modo mai così diretto eppur celato.
Nella sua immensa filmografia (un centinaio di film) spuntano lavori imprescindibili come "Angeli Violati" (terribile e spietata analisi di clima anti-patriota che nasconde nel sesso e nella perversione quasi necrofila uno spunto per amare il proprio paese e al contempo morire per esso), "Violent Virgin", "Sex Jack", "Embrione" e chi più ne ha più ne metta. Ma c'è un film che giudico il fulcro della sua arte.

Ed è questo "Su Su"

Un film che gode di (sur)realismo e che si pone come critica/elogio ad una giovinezza vacua e squallida, lontana dagli ideali del passato. Un gioiello che ride in faccia a mezzo cinema con la sua ridicola durata di 63 minuti.

Un'allucinata e delirante storia d'amore tra una ragazza stuprata da un gruppo di punk sul tetto di un enorme condominio e un assassino spietato, gelido e timido, mai così geniale: girata con una mano assolutamente felice, se non euforica. Wakamatsu si fa riconoscere dalla prima inquadratura e finisce per girare un'opera completamente spiazzante, dove si possono incontrare tutti gli antipodi del cinema in modo nuovo. Ecco che quindi questo gioiello pare essere girato da Antonioni e Meyer, sporco e pulito, felice e incomunicabile, sacro e profano.

Indimenticabile la regia, con fluidi movimenti di macchina frammezzati da freddi pianosequenza e una fotografia che alterna momenti di pacato bianco e nero al colore più esplosivo, a sottolineare le scene più potenti. 

Trovatemi un cinema del genere. Se ci riuscite. Ma non fate i furbi: non provate a parlare di pellicole uscite nel 1969.

Wakamatsu ha creato un genere: il pulp prima che nascesse nella sua concezione moderna, il surrealismo miscelato al porno. 

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