Nazionalsnobismo

Che non sta per fare gli snob verso nazionalsocialisti presenti o passati (anche perché oltre che snob sarebbe da essere violenti, almeno verbalmente) ma per un certo snobbare le produzioni musicali italiche. Malattia da cui sono affetto in pratica da sempre, indipendentemente dall’idioma usato in musica. Tutte le volte che leggo in una recensione la provenienza geografica, smetto di leggere su due piedi.

Lo so che è una tara bella e buona, anche perché stiamo vivendo un periodo veramente fertile (mi dicono) nel panorama musicale italiano, sulla strada verso la liberazione da provincialismi e scimmiottamenti. A mio vedere bisogna, stranamente, ringraziare san Download. Mi spiego: visto che il comprare i dischi sta velocemente diventando come il Subbuteo, ossia mania di pochi e per pochi,  i soldi veri con la musica non li fa più nessuno. E se prima alcune scelte artistiche dei gruppi italiani potevano essere mediate dal miraggio del successo e dei soldi, al momento, al netto di qualche mentecatto che va a X Factor,  non c’è proprio più trippa per gatti. E quindi i gatti incominciano a mangiare un po’ ovunque, con notevole guadagno dei ns padiglioni auricolari.

Impensabile, anche solo 15 anni fa, trovare un ensemble eclettico ed eccitante come La Piramide Di Sangue. Settetto composto da due bassi, due chitarre, batteria, synth e clarinetto, creatura del cantante dei Movie Star Junkies, ma che qui tiene le parole per sé. La Piramide non parla, suona e basta (e avanza). Ma soprattutto esplora. Esplora realtà musicali “altre”, non solo rispetto al nostro ambito musicale,ma anche rispetto alle coordinate rock anglosassoni: dal krautrock più fricchettone di Amon Duul, Agitation Free e Guru Guru, passando per il jazz cosmico, fino ad un approccio medio e orientale, dalla Turchia al Sud Est Asiatico.

Veramente difficile scegliere i brani migliori, dall’iniziale “Sangue”, fra clarinetto dolente, wah wah e ritmica tribale, fino a “L’invasione delle locuste” in chiusura (uno stranissimo incrocio fra chitarra Helmet, sax e clarinetto free jazz style…e un muezzin), “Tebe” non ha flessioni, anzi si fregia di una organicità interna invidiabile e di una strabiliante policromia di stili e generi. “Tu getti sale sulle mie ferite” alterna cavalcate chitarrisiche, con stacchi quasi math rock e coda ipnotica; “Io sono la tigre” parte come un improbabile Santana maghrebino, per continuare sulle note quasi lascive del clarinetto;  “Sandalo” è una perfetta quanto difficilmente immaginabile copula fra rock matematico americano e danza derviscia. Infine “Complotti a Tebe”  sincretizza al meglio umori e dissonanze di tutti gli altri brani.

Disco psichedelico dell’anno passato? Poco ci manca…

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