Joanne di Lady Gaga è, nolenti o dolenti, uno degli appuntamenti più significativi e succulenti nel calendario pop internazionale dell'anno. Si tratta, difatti, del nuovo capitolo discografico di un chiacchieratissimo personaggio che esperti del settore, fan e detrattori attendono al varco dopo la caotica epopea di Artpop e il tentativo di "darsi una ripulita" con l'avventura jazz di Cheek to Cheek assieme a Tony Bennett.

Lady Gaga rappresenta uno dei fenomeni musicali di punta del nuovo corso musicale. Figlia degli anni Ottanta, tacciata come l'erede di Madonna, Michael Jackson, Queen, David Bowie e Prince, fra i protagonisti del primo evo di MTV, Miss Germanotta ha, secondo l'opinione di molti, avuto il merito di ridare linfa vitale allo scialbo scenario pop di fine anni Duemila, dominato dagli stilemi ghetto-urban americani, senza sostanza, senza identità e soprattutto senza un "divo" o una "diva", capace di trasformarsi nell'essenza iconica di quel preciso periodo temporale: una sorta di "simbolo" identificativo, come lo furono Madonna, Michael Jackson e Prince negli Ottanta, Celine Dion e Mariah Carey nei Novanta e le varie Britney nei primissimi Duemila. Si trattava, dunque, di ricostruire il pop autentico e verace, adoperando gli antichi ingredienti dettati dalla MTV-mania: iconicità, trasgressione, stravaganza, esagerazione, camaleontismo, divismo, teatralità, un concept visuale - sonoro - estetico - artistico distinto per ogni capitolo discografico, videoclip elaboratissimi, tour faraonici.

Ben dotata di tale armamentario, Lady Gaga ha fatto irruzione con The Fame e The Fame Monster e i relativi singoli-boom, Just Dance, Poker Face, Paparazzi, Bad Romance, Telephone e Alejandro, mostrando al mondo intero che l'industria discografica in crisi di identità e di profitti può ancora sfornare nuovi personaggi "divi", simili agli El Dorado pop degli Ottanta e Novanta. Per di più, con il supporto della novità in fatto di proporre musica, ovvero la rete: Lady Gaga è infatti fra i pionieri dell'idillio fra mercato discografico e universo Facebook, idillio che, tuttavia, ha nel tempo creato un campo di battaglia da terza guerra mondiale fra blogger, influencer e sedicenti tali, leoni da tastiera, supporters e haters, tanti piccoli utenti-formichine ma con un fortissimo potenziale individuale, tale da determinare il successo o l'insuccesso futuro di canzoni, dischi, carriere e reputazioni personali. Lady Gaga, da pioniera di questo fenomeno, ne è in parte divenuta vittima. Ed è così che il concept ben studiato e approfondito di The Fame e The Fame Monster ha lasciato spazio alle confusionarie e criticate velleità "artistiche" di Born This Way e Artpop, lavori che, seppur di qualità (con qualche eccezione) hanno introdotto una popstar forse un po' troppo pretenziosa e troppo desiderosa di distinguersi dalla massa incolore delle colleghe e dei colleghi. Per di più con la tendenza, ormai nota, a prediligere maschere, costumi e altre bizzarrie da freakshow come elementi concettuali.

Il turning point della carriera di Lady Gaga è stata, come già detto, la collaborazione con Tony Bennett in Cheek to Cheek: palesandosi come novella interprete del repertorio standard jazz, Miss Germanotta è riuscita a togliersi di dosso buona parte della reputazione di "freak-star" ereditata da Artpop. Si arriva allora a Joanne, il cui titolo omaggia la zia deceduta ed è il secondo nome di Lady Gaga, alias Stefani: questo nuovo capitolo discografico segna, almeno temporaneamente, l'abbandono totale delle stravaganze estetiche, di quell'elaborazione carnevalesca tanto adoperata e altrettanto vituperata negli ultimi anni. Qui Lady Gaga opta per il minimalismo ma sceglie comunque di adottare un personaggio ad hoc, quello della cow-girl pregna del genuino "american vibe", a metà strada fra Dolly Parton, Shania Twain e Carrie Underwood. Nel paniere concettuale di Joanne l'atmosfera da prateria del Midwest, lo psichedelico rockeggiamento in veste discopop di Perfect Illusion, nonché il mini tour promozionale che la cantante sta conducendo nelle taverne yankees, i Dive Bar (sempre per allacciarsi al "Pure American Taste") sono tutti componenti di una strategia utile a definire un capitolo musicale meno "complesso" dei precedenti, meno stravagante, meno bizzarro, meno zeppo di bramosie "artistiche" da Artista con la A maiuscola. Una minore complessità che in realtà forgia l'album nella sua interezza: Joanne è il primo lavoro di Lady Gaga in cui non sono synth pesanti, sonorità eurodance, pezzoni techno e produzioni discotecare a dettare legge ma un mood leggermente e piacevolmente rockeggiante, fresco e pepatino quanto basta, il quale solo a tratti rende l'idea del tanto decantato "disco country", appellativo che la rete sta utilizzando per descrivere, in forme piuttosto blande, il lavoro. Pop-rock strizzante l'occhiolino anche al funk, al folk, all'indie, all'alternative, al blues, al soul e al gospel con solo qualche sporadico accenno ballabile ed elettronico. Spazio alle strumentazioni, alla voce, alla freschezza acustica da ballata nostalgica in Million Reasons e Angel Down, mentre il sapore "country", benché equamente distribuito e quindi presente nei brani, ha un'importanza più scenografica che sonora, più da condimento che da ingrediente base: per parlarci chiaro, Joanne non suona come Shania Twain, né come Carrie Underwood e, ovviamente, si pone lontano anni luce dagli stilemi alla Dolly Parton. Ma non è neanche Taylor Swift, per intenderci.

Nel disco vanno segnalati l'energico pop-n-roll spumeggiante di Diamonds Hearts, l'atmosfera spaghetti western alla Sergio Leone di Sinner's Prayer, pezzo in cui schitarrate e accenni di fisarmonica creano un effetto folk "cinematografico" da casa nella prateria, la quasi unplugged title-track Joanne, nostalgica e vagamente romantica alla Through the Barricades e i barocchismi pop-soul in salsa 80s di Hey Girl in collaborazione con Florence Welch. Gli accenni dance sono molto pochi, ma piacevoli: in Dancin' in Circles, una delle punte di diamante dell'album, sembra che siano stati mescolati in un enorme calderone These Boots Are Made For Walkin' e le attualissime sonorità dancehall alla One Dance e Cheap Thrills, A-Yo non è altro che il sequel di Manicure, brano di Artpop, in cui Lady Gaga gioca a rockeggiare in salsa country/doo-wop, Perfect Illusion cade nel discorock a tratti funk mentre John Wayne si palesa come l'unicuum realmente elettronico, pur flirtando con i sound alternative - psichedelici di Muse e Placebo.

Passiamo alle conclusioni. Joanne è un apprezzabile e godibile sforzo discografico, scevro della pretenziosità e della pomposità dei precedenti. Niente travestimenti, paillettes, lustrini, aberrazioni. Musica pop più strumentale che al sintetizzatore e con un contorno scenografico minimale. Ma è proprio il taglio netto e deciso con il passato recente che desta qualche preoccupazione: dopo aver raggiunto l'apice della della pantomima teatral-sonora in Artpop, Lady Gaga passa dalla complessità iperbolizzata al minimalismo totale: è come se si tentasse di fare quaranta scalini in un solo passo o di scalare l'Everest con un saltello. In sostanza, Lady Gaga con Joanne potrebbe aver fatto il passo più lungo della gamba, non concedendosi una tappa "intermedia" fra eccesso e semplicità, magari meglio interiorizzata da quel pubblico che l'ha premiata agli esordi grazie ai brani elettro-danzerecci. A noi, dunque, l'ardua sentenza.

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