Non si può dire che questo sia l'album di debutto della cantante, eppure è il primo album di Lana Del Rey, che dopo aver cambiato nome si è buttata nuovamente nel mondo della musica, imparando dai suoi errori. Il disco è maturo ed impegnato, traspira atmosfere retrò e hollywoodiane, ed è una buona prova pop per rilanciare una cantante che ha fatto tanto gossip. Infatti è proprio questo uno dei tratti più particolari di Lana, pare che tutti debbano prendersela con qualcosa, che può essere il suo aspetto fisico o la retribuzione del padre, per giustificare un talento, non eccezionale, ma presente.

Parlavo di un sound un po' sorpassato, ed in effetti anche dai video si può vedere, e che ricorda la colonna sonora di qualche vecchio classico in bianco e nero evidente in tracce come "Radio" o "Without You", sussurrate dalla cantante. Sono presenti anche tracce più pop come "Dark Paradise", o canzoni che inizialmente  promettono qualcosa di diverso ma poi, seppur piacevoli, ribadiscono lo stile del disco come "Carmen" (titolo che a parer mio fa nascere qualche domanda su cosa si incontrerà). Bisogna dire allora che nella sua monotonia strumentale, il disco gode di una esecuzione vocale non da poco, che lascia spazio a sussurri gravi ed improvvisi falsetti.

Credo che sia d'obbligo citare la title track "Born To Die" come un brano ispirato e piacevole, che si apre con una sequenza di archi; "National Anthem" con dei cori che risaltano ed un testo davvero carino; infine direi che "Video Games" è ottima e molto evocativa.

In conclusione questo è un album che deve essere ascoltato come sottofondo, perché non arriva direttamente all'ascoltatore, ma ci gira attorno trasportandono indietro. Un lavoro da apprezzare ancora di più perché proviene da una ventiseienne senza versare troppo nel commerciale.  

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