Una strana storia prelude all’uscita discografica di questo live, il primo documento integrale in concerto edito in Italia da una band di musica rock, ancora oggi tra gli album più conosciuti del progressive italiano. Fosse stato per le Orme il disco non sarebbe uscito, ma bisogna dire che c’è qualcosa di poco chiaro in tutta la faccenda. Vediamo se possiamo capirci qualcosa.
Chi siano le Orme nel gennaio 1974 lo sappiamo tutti: un trio di progressive chiaramente ispirato alla formula ELP, con la non trascurabile differenza di voler passare al trattamento prog la canzone d’autore italiana (quella di stampo tradizionalmente melodico) e di essere quindi prevalentemente dedicati, non tanto alle chilometriche improvvisazioni tastieristiche che da Tarkus in poi erano divenute proverbiali per un trio di genere, quanto all’arrangiamento di belle canzoni, delicate e sognanti, affidate alla voce pregevolissima di Aldo Tagliapietra (lo Jon Anderson italiano) e spesso accompagnate da una bella chitarra acustica. Emerson Lake & Palmer, comunque.
Le tastiere di Toni Pagliuca sono sempre state volutamente essenziali, organo synth e piano senza alcun sequencer (nel 1974 avrebbero potuto averne uno, budget a parte) proprio perché le Orme non hanno mai voluto essere sovrarrangiate, almeno in quegli anni: poche le sovraincisioni e si puntava soprattutto sulle notevoli doti espressive dei tre strumentisti. Spiritate queste tastiere, non dissimili da quelle di ‘Pictures At An Exhibition’ ma decisamente meno avanzate per tecnologia ed effettistica (c’era a malapena un generatore di frequenze), eppure sempre oltremodo suggestive e descrittive. Anche le Orme (come i Cream, come Hendrix e come i Kraftwerk) giocavano spesso a ‘togliere’ piuttosto che ad ‘aggiungere’, fondando la propria musica anche sugli spazi vuoti, sulla solitudine delle linee di basso (solo Emerson le ha sempre doppiate tutte) e sulle corde cristalline della chitarra acustica di Aldo. Da parte sua Michi Dei Rossi conquista un posto d’onore tra i batteristi dell’era prog: meno esibizionista di Franz Di Cioccio, meno ricercatore di Capiozzo e meno jazzato di Furio Chirico, eppure si tratta di un ottimo batterista; con uno stile piuttosto rumoroso che vorrebbe guardare a Palmer ma di Palmer non può utilizzare la mostruosa strumentazione, e allora assume le caratteristiche dei batteristi hard, guardando a John Bonham e Ian Paice più che a Phil Collins o Bill Bruford. Emerson Lake & Palmer all’amatriciana, appunto.
Il fatto è che i tre veneti sono davvero molto bravi, ostrega, e compongono cose molto belle, si tratti di fiabe fantasy o di mini-suite strutturatissime e sempre molto rock (‘La Porta Chiusa’, ‘Cemento Armato’). Gli inizi beat sono presto accantonati e le Orme trovano la loro via al prog mediterraneo, conquistandosi una schiera agguerrita di fedelissimi che li seguono nei tour italiani ed europei (me compreso) e cominciando a vendere benino per un gruppo dalla musica così immaginifica. Il successo di ‘Gioco Di Bimba’, un evergreen intelligente e raffinato (stilisticamente e liricamente), fa il resto e le Orme registrano il loro capolavoro con una disponibilità di mezzi sino a quel punto sconosciuta.
‘Felona e Sorona’ entra immediatamente nella storia della musica italiana, come e più del precedente ‘Uomo Di Pezza’, anche per l’interessamento e l’amicizia di Peter Hammill che si appassiona alla loro musica e produce e traduce la versione inglese dell’album. Il concept album consente una bella resa sul palcoscenico, assolone di batteria incluso, e la band parte per un tour pieno di crescenti soddisfazioni (ed il pubblico urla in continuazione ‘Emerson, Emerson’ quando Toni si produce nelle sue evoluzioni).
Proprio per questo motivo non si capisce per quale motivo la Philips, molto ben disposta ad investire nella confezione di un album dal vivo, non si attivi perché i concerti più rappresentativi vengano registrati professionalmente ai fini del successivo missaggio. Già, perché è la casa discografica ad insistere per la realizzazione di un live, ma gli unici nastri sotto mano sono quelli messi a disposizione da amatori che avevano catturato i due concerti del Teatro Brancaccio, 16 e 17 gennaio 1974, la cui resa sonora è a dir poco discutibile. Amatoriale, appunto. Strano, questi amatori si sono attaccati al mixer (il pubblico si sente poco) per due sere di seguito, può anche essere ma il suono sarebbe comunque migliore, al mixer mi sono attaccato una volta anche io. Erano tra la gente con un registratore a nastro, grosso come una valigetta, e microfoni direzionali ben puntati, allora? Non sembra, il suono è troppo stabile, mica avranno avuto le giraffe. Non so. Semplicemente, mi sembra sospetto che esca fuori una registrazione ‘di fortuna’ proprio quando le Orme resistono ed obiettano che se si voleva fare un live, tanto valeva organizzarsi prima. Può anche essere che la Philips avesse organizzato a loro insaputa una ripresa audio, che per inesperienza dei tecnici non riuscì molto dissimile da un bootleg (in Italia non c’era esperienza di registrazione ambientale di musica rock).
Com’è, come non è, i tre riflettono sul fatto che una bella versione di una suite lunga ed inedita (‘Truck Of Fire, Parts I-II’) può occupare per ben ventidue minuti la prima facciata dell’album proposto, completa di drum solo, mentre una selezione di brani scelti sul lato B potrebbe contare su una versione estesa di ‘Era Inverno’ (una triste riflessione sulla prostituzione), sugli hit ‘Sguardo Verso il Cielo’ e ‘Collage’ e su un estratto molto d’effetto dal concept dei due pianeti. I musicisti chiedono almeno di contenere il prezzo del disco – si tratta in fondo di un esperimento, neppure troppo ben realizzato – ma alla fine non si dà loro retta e il disco esce regolarmente, e vende bene, e continua a vendere a dispetto della ruvida resa sonora (tutto sommato affascinante, riesce a simulare la profondità e soprattutto la confusione di una sala da concerto).
E’ il primo live integrale del rock italiano, anticipato solo dagli scampoli di concerto contenuti in ‘Searching For A Land’ dei New Trolls (e pure quelli non è che si sentivano tanto bene). Una leggenda narra che l’infelice missaggio di ‘Cook / PFM Live In USA’, che uscirà dopo qualche mese, abbia tratto ispirazione proprio dall’effetto concerto (meglio chiamarlo ‘effetto lontananza’) di questo ‘Le Orme In Concerto’, che alla fine però così malvagio non è: con la compressione delle frequenze è soprattutto il pianoforte a sentirsi da schifo, ma non è molto utilizzato, anche se la bella apertura di Truck Of Fire risulta più da indovinare che assaporare. Il repertorio è ottimo ed entusiasmante ed ispirata e disinvolta è la performance, con tutta la penalizzazione sonora, e insomma viva l’album, e tutti a prendere appunti. L’anno seguente esce ‘Are(A)zione’ ed è tutto un altro sentire, e di lì gli album dal vivo diverranno consuetudine e vanto anche in Italia, fino al monumentale ‘Concerto’ di Branduardi e poi ad ‘Icaro’ di Zero, che sdogana proprio di tutto (arriveranno ‘Me, Live’ di Adriano Celentano e ‘Canada Wonderland – Pupo Live In Canada’, nientemeno). Io ho seguito le Orme per mezza Italia, per tanti anni, e ricordo concerti bellissimi e tante ‘good vibrations’, ed alcune si riescono a percepire anche in questo fortunoso album, così famoso e così stranamente realizzato.
Carico i commenti... con calma