15 dicembre 2011, è passato esattamente un anno dall’ultima recensione che ho scritto, e in un anno di cose ne sono accadute, tra l’altro ho cominciato a prendere anche lezioni di canto, anche se ora purtroppo mi sono trovato costretto momentaneamente a sospenderle (per cause economiche, logistiche e di impegni di causa maggiore). Oggi il mio (ex) amico Marco, detto “Marcolino”, compie 31 anni, non gli manderò nessun messaggio di auguri… o forse si, magari stasera cambio idea, mi conosco.
È un periodaccio, uno di quelli in cui quando ti arrivano delle disgrazie, non ti arrivano rateizzate ma tutte in una sola botta, pure duratura: ho preso la mononucleosi, tutt’ora sono convalescente, per un mese non potrò andare in palestra; ho cominciato a lavorare come rilevatore per i censimenti ma ho dovuto abbandonare per via della malattia (e spero almeno non mi multino per ciò che non ho fatto); ho dato un esame da 30 e spero me lo accettino per valido (martedì saprò tutto); sto tentando di studiare per l’esame più difficile e corposo di tutto il corso, tant’è che mi accontento pure di un 18 basta finire in tempo; ho perso il concerto degli Yes a Milano, e quello di Paul McCartney a Casalecchio di Reno (praticamente a Bologna), adoro McCartney e adoro i Beatles, fin dalle elementari: peccato che non sono ancora riuscito ad andare a vederlo (a differenza di Ringo che ho visto questa estate). Poi c’è dell’altro, ma non mi va di deprimere i lettori.
Quest’anno in compenso mi son visto Robbie Krieger e Ray Manzarek, i Delirium (perdendomi la loro apertura al concerto dei Colosseum, con quel vecchio marpione di Dave Greenslade che adoro anche da solista), Ian Paice e Tolo Marton a Sestri Levante (era la seconda volta che li vedevo), il trio Tagliapietra-Pagliuca-Marton, le nuove Orme guidate da Michi Dei Rossi, coadiuvato da Jimmy Spitaleri (Metamorfosi) alla voce e ho intravisto Aldo Tagliapietra a Gaeta, riuscendo a fermarlo giusto per un autografo (vabè… tutta la discografia delle Orme), una foto assieme e due chiacchere.
Già… le Orme, le Orme che potevano benissimo chiamarsi “Le Orme con Michi Dei Rossi” (un po’ come fecero i New Trolls suddividendo il nome in tre formazioni differenti), o “Le nuove Orme”, ma pazienza, è andata così… è la vita!
Con Marcolino dovevo andare a vedere le Orme a luglio del 2009, ci mettemmo d’accordo diverso tempo prima (con lui bisognava far così) per farci un viaggio di un weekend: avremo dovuto andare a visitare Guccini a casa sua (se ne parlava da tempo), e di sera (o la sera dopo… non ricordo più bene) andare a Livorno (mi sembra) ad andare a vedere le Orme in concerto: all’epoca con Dei Rossi e Tagliapietra ancora assieme, in trio con l’organista Michele Bon.
Inutile dire che due giorni prima di andare a vedere quel concerto, mi mandò un messaggio piuttosto scortese, in cui mi invitò ad andarci da solo a conoscere Guccini e ad andare a vedere le Orme (“vacci tu, io esco con mio cognato”: uno sfigato che ve lo raccomando!)… insomma… da li persi i contatti con quella larva di Marcolino, tutt’ora non lo rimpiango.
Mi manca più un esame, dicevo, per poi laurearmi (si… suvvia… si sa… la tesi per male che è fatta è solo una formalità, è ovvio che una volta che hai dato tutti gli esami hai già il pezzo di carta in tasca), sempre che mi accettino (martedì) l’esame che ho dato al 17 del mese scorso; ma facciamo qualche passo indietro, quando gli esami da dare erano ancora tanti, praticamente quasi tutti: per festeggiare il 28 in “Storia del vicino oriente antico”, qualche giorno dopo che lo passai, ritornai in quel di Genova, alla FNAC e mi comprai diversi cd a basso prezzo, tra cui l’omonimo “Orme” delle Orme (appunto), registrato nel 1990.
“Storia del vicino oriente antico” fu il primo esame che diedi, fine gennaio del 2009, solo 6 crediti, ma mi sembrò di essere stato dissanguato da quanto studiai, tanto che per due settimane, almeno, rimasi chiuso in casa a rifarmi l’anima, guardandomi film (molti con Johnny Depp) tutto il tempo.
“Orme” delle Orme costava 5 €uro (non vorrei sbagliarmi), il meno costoso nello scaffale del progressive rock italiano: era il loro primo disco che compravo; il primo loro disco che compravo, anche se a dirla tutto conoscevo la loro discografia già da tempo: ad eccezione di “Canzone d’amore”, uscita solo su 45 giri e che ascoltai per radio la prima volta, manco a farlo apposta, quando tornai a casa dall’esame di “Storia del vicino oriente antico”).
Li per lì lo ascoltai una volta o due, forse neanche per intero, ma indubbiamente l’ascolto avvenne in maniera distratta e poco attenta; lo trovai piacevole, a cominciare dalla prima track “L’universo”, con le tastiere che sanno di anni ’80 per fuggita, ma che nel contempo sanno di essere “fuori moda”, in una fase di stallo.
Lo ripresi in mano qualche mese dopo, mentre studiavo per “Storia dell’America del nord” (che poi era la storia dei soli Stati Uniti, quella del Canada si intravedeva ben meno che in lontananza e col binocolo), e li avvenne la folgorazione: mi trovavo nell’appartamento di mia nonna Carmela, non era l’appartamento in cui risiedeva da quando l’ho conosciuta, ma quello in cui risedette dall’aprile del 2009 all’agosto dell’anno dopo.
Stavo bene moralmente in quel periodo, ricordo un pomeriggio e una sera di giugno (2009), due giorni prima di dare l’esame che ero nella stanza della tv che si trasformava come per magia in camera da letto per me: fu una camera da letto ma difficilmente da sonno, non so quanto l’ho odiata quella camera, ma sicuramente non poco! Passavano tante macchine di notte, e me le sentivo tutte… facevano un casino che ancora me lo ricordo! Volevo mettere una rete da una ringhiera all’altra dei marciapiedi, per fermarle tutte… che odio! Che rabbia! Non riuscivo a dormire!
Un rumore ben più piacevole fu quello che ascoltai mettendo nello stereo puramente anni ’90 del prete di cui mia nonna era perpetua: il cd appunto era quello in questione, “Orme” delle Orme. Mi ascolto “L’universo”, passa liscia come un alcolico piacevole ma di bassa gradazione, stessa storia per “Terra antica”.
“Dublino addio” mi emoziona già di più, “Diventare” la trovo nettamente più interessante che se a tratti scontata così come “Ritrovare te”, che la segue un poco più avanti, e che è tratta da “Il maestro interiore” di Sant’Agostino… mi sembra di essere tornato ai tempi del tanto agonizzante sabato pomeriggio del catechismo o alle tanto detestate lezioni di religione delle elementari e delle medie.
Più interessante, anche se non manca di parametri spirituali scontati, è “Chi sono io?”, un testo che non mi ha mai colpito, anche se tratto da un libro che apprezzo (“Il profeta”) di un autore che adoro (Kahil Gibran).
Il disco termina con l’amara “L’indifferenza”, canzone di un amore perduto o meglio finito, piacevole ma oggi non ho voglia di riascoltarmela… non mi va… non ho voglia di deprimermi.
Solo nove canzoni, con una media di durata che dei quattro minuti. Ne mancano solo due all’appello, quelle che mi emozionarono notevolmente in quella serata di studio: “25 maggio 1931” e la successiva “Se tu sorridi brucia il mondo”.
La prima è una canzone di un incontro d’amore, dolce e leggero come sa essere questa canzone, anche se un po’ movimentata… purtroppo cade nella pateticità del reggae, se pur a salvare il tutto appare come per magia il bardo dai capelli a cespuglio con il violino in una mano e l’archetto dall’altra, fa un inchino e si presenta “Salve a tutti, sono il maestro Angelo Branduardi”, non aggiunge altro e lascia parlare le corde: pura magia!
Questa canzone è scritta da Cheope e da Tony Pagliuca, Pagliuca scrive la parte musicale, Cheope (anche se non è presente nei crediti) il testo.
Cheope, che all’anagrafe si chiama Alfredo Rapetti (classe 1961), è figlio del ben più noto Giulio, in arte Mogol. Credo che la storia in questione parli dei genitori di Giulio Rapetti, essendo lo stesso nato nel 1936, quindi un lustro prima della nascita del noto paroliere e a lungo deus ex machina dell’indimenticato Lucio Battisti.
Cheope firma anche “Dublino addio” e “Se tu sorridi brucia il mondo”, mentre le restanti tracce sono tutta opera del solo Tagliapietra a differenza di “L’indifferenza” firmata assieme a Mario Lavezzi che con Alfredo Golino suonerà le chitarre in questo disco.
Questo è l’ultimo disco con Tony Pagliuca alle tastiere, già coadiuvato da Michele Bon, che da li a pochi mesi sarebbe entrato in pianta stabile nella band.
Se si volesse schematizzare la discografia delle Orme ne uscirebbero fuori sei periodi: il periodo beat, ovvero quello beat degli esordi con “Ad gloriam” e i vari 45 giri, la maggior parte di essi inseriti nella raccolta “L’aurora delle Orme” (sempre rinnegata dalla band); poi per il periodo progressive (quello storico) con tutti i suoi alti e i suoi bassi; il breve ma interessante periodo sinfonico o da camera (“Florian” e “Piccola rapsodia dell’ape”); il –per fortuna- breve periodo new wave negli anni ’80 (con quell’album orribile quale è “Venerdì” detto anche “Biancaneve”); il periodo di transizione ed infine il ritorno alle origini con una spruzzata di new age, che riguarda l’ultima trilogia.
Ecco, il periodo di transizione a cui alludo è rappresentato dal solo album “Orme”, questo: non è già più new wave, siamo entrati negli anni ’90, ma nemmeno è progressive: è un discorso a se, che si discosta da entrambi i punti cardini.
Sarà forse un caso, ma stanotte ho sognato che lanciavo dei cd… così… senza un’apparente logica motivazione, tra questi c’erano anche dei cd delle Orme: li avevo lanciati e riprendendoli mi ero pure meravigliato di trovare le confezioni scheggiate! Forse questo sogno voleva dirmi che dovevo recensire, dopo un anno, questo disco.
Scrivevo all’inizio di questa recensione che in un anno di cose ne son successe, ma la più sconvolgente è stata la dipartita della già citata nonna Carmela, o meglio “nonna Mela”, come avevo abitudine (poi rimasta) di chiamarla fin dalla più tenera infanzia. Anche se le Orme molto probabilmente non le conosceva, e se pur sentendole di sfuggita indubbiamente avrebbe preferito ascoltarsi Nino D’Angelo (-.-‘) questa recensione voglio dedicarla a lei: senza un perché… solo perché mi manca tantissimo, tutto quì.
Ciao vecchia pazza, non ti dimenticherò mai: grazie per tutto.
P.s.= quando andai a farmi firmare l’intera discografia delle Orme, a Spezia, alla fine del concerto, da Michi Dei Rossi, li per li -schifato- nemmeno voleva firmarmelo questo disco, al che gli rispondo che per me è un album stupendo, che il loro punto più basso è il lavoro precedente (“Venerdì” o “Biancaneve”); mi risponderà che “Venerdì” è figlio dei suoi tempi, ma anche se mi firmerà questo omonimo “Orme”, non ebbi coraggio di chiedergli il perché odiasse questo lavoro: un po’ per pudore. Guardando bene i crediti, notai che c’erano due batteristi presenti in studio, sarà forse quello il motivo?
P.s 2= Il 25 maggio 2011, sul mio account di Facebook, pubblicai il testo di “25 maggio 1931”, taggando Tony Pagliuca: mi sembrò contento della citazione.
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