Nell’immaginario collettivo dei cultori, o almeno conoscitori del Dirigibile, quest’elefantiaca e squassante sgroppata in territori ed umori mediorientali occupa la terza posizione assoluta nella gerarchia delle tante perle a catalogo, a dar retta alla maggioranza preceduta solo dall’invocante, urgente, psichedelico riff di “Whole Lotta Love” nonché, in primissima posizione, dal pastorale e visionario crescendo elettroacustico di “Stairway To Heaven”.

La canzone è, come molti sanno, contenuta nel loro sesto e doppio album “Physical Graffiti”, ultimo sensazionale strappo verso l’alto e verso la gloria, al culmine di un irripetibile settennato di suprema varietà e costanza qualitativa, alle porte di un ultimo quinquennio pieno invece di problemi e di relativa decadenza fino al malaugurato fermo macchina del settembre 1980, conseguente alla scomparsa dell’indispensabile, insostituibile macchinista John Bonham.

L’impalcatura portante di questa delizia dell’hard rock arriva, come è consueto per gli Zeppelin, dall’impagabile alchimia musicale fra chitarrista e batterista. Jimmy Page, imbracciando la chitarra accordata alla celtica ovvero con tre corde su sei che a vuoto suonano un RE, ne aggiunge pure un quarto pigiando la corda del LA al quinto tasto creando così un ben sonoro drone, un ostinato di RE sul quale percorrere un’ascesa cromatica (ossia di mezzo tono alla volta) su una delle due corde residue, dal vago sapore arabeggiante. Ciò significa che (quasi) tutta “Kashmir” è suonabile su di una chitarra debitamente accordata premendo due corde alla volta e lasciando risuonare più o meno tutte le altre a vuoto: mirabile esempio di eccellenza nella semplicità.

Page porta questo riff ascendente in tre quarti, ma il suo batterista non se lo fila pari e genialmente tira dritto con un suo quattro quarti… niente paura perché 3x4 è come dire 4x3 così ogni dodici quarti i due si rincontrano, e si ricomincia. Il risultato ritmico/armonico è di una disarmante efficacia e bellezza, percepibile come esotica e insieme affascinante da chiunque abbia orecchie educate alla buona musica, ma anche no.

Quando è il momento del cambio, del ritornello, della modulazione, il prode Bonzo non si fila neanche quello e tira dritto pure lì, con inaudito genio! La chitarra di Page, ma ancor più la fanfara organizzata dal mellotron di John Paul Jones e dagli orchestrali al seguito, armonizzano per scale discendenti e pim e pam in un tripudio d’enfasi, ma la batteria procede come un Tir, fregandosene di accentare e spostare alcunché, col basso di Jones che consapevolmente le dà retta mantenendo lo stesso riff delle strofe.

E’ insomma la vecchia scuola del far buona musica… è quello che Bonham NON suona a rendere unica, trascinante, senza prezzo la già di per sé eccellente intuizione melodica e armonica del suo chitarrista. Bonzo non era batterista di questo mondo… era una specie di dio del ritmo capace di cavare sentimento e gioia e gloria sia attraverso l’ineguagliabile, detonante suono che riusciva ad estrarre dai suoi tamburi che dalla maniera celestialmente perfetta, troppo giusta che aveva di disseminare cassa e rullante nel percorso ritmico… una magnifica forza bruta abbinata a completo e sublime abbandono all’intuizione ritmica.

Il verdetto allora è che non ce n’è per nessuno, neanche dopo trentacinque anni dalla sua morte: il migliore. Non esiste batterista al mondo col cuore al posto giusto che non sia impressionato dall’arte di John Bonham, Mozart delle pelli e dei piatti.

Ma torniamo alla canzone: volendo durare oltre gli otto minuti, essa ha bisogno di altre variazioni oltre alla successione strofe/ritornelli (Plant è pure assente in questi ultimi, estromesso dalla magniloquente fanfara d’archi). Gli Zeppelin ne organizzano un paio: la prima è un imperioso staccato sulla tonalità di LA, terreno fertile per i guaiti di Plant e per qualche controtempo di Bonham, la seconda è un’apertura melodica distesa su un paio di accordi, concepita dal cantante ma su cui piomba anche Jones con i suoi archi veri e finti, entrambi i musicisti concentrati a mantenersi su scale mediorientali, molto strette. Questo ponte compare due volte… la prima sta a metà canzone ed il suo esaurirsi e precipitare di nuovo nell’immane drone/riff scortato dall’ultimo gemito del cantante costituisce a mio sentire il punto più esaltante del brano. La seconda va a costituirne l’epilogo, ad ogni giro sempre più gonfio d’orchestra e di rullate di un Bonham che solo a questo punto si lascia andare, fino alla dissolvenza finale.

Robert Plant concepì il testo durante una traversata del deserto marocchino, intitolandolo però chissà perché ad una regione indiana sin lì mai visitata, né da lui né da qualcun altro del gruppo. Mirabile la sua abilità nell’inserirsi melodicamente fra le cannonate della ritmica e del resto degli strumenti in poderoso staccato, descrivendo un serpentesco e fascinoso percorso di canto (per terze, come la chitarra e fregandosene di batteria e basso) che avvolge di esotismo e mistero la marziale cadenza.

Fra cinquecent’anni, se il genere umano ancora esisterà, vi saranno sicuramente ancora teatri e posti dove si esegue musica, e allora dentro qualcuno di essi troveremo per certo un’orchestra d’archi insieme a qualche suonatore di chitarra, di batteria e di basso, nonché un cantante dalla voce adeguatamente stentorea e tutti quanti alle prese, davanti ad adeguata e attenta platea, proprio con questi otto minuti di eccellenza rock, riproposti così come sono stati concepiti e perfettamente arrangiati in mirabile coesione musicale dai quattro del Dirigibile, quarant’anni fa. Questa è musica classica oramai, e lo sarà sempre di più nel futuro.


  • BARRACUDA BLUE
    6 mar 15
    Recensione: Opera:
    Un vero peccato la mancanza di versioni Live ufficiali, la mia teoria e' che il pezzo tendeva a scadere senza la sezione d'archi, il mio ricordo di un paio di bootleg a riguardo non e' dei migliori, anche per la scarsa qualita' del suono, Jones utilizzo' il Mellotron sul palco ma era impossibile ricreare quel senso di grandeur, sostituendo i violoncelli con un piano elettrico o piu' probabilmente un clavinet, suonato all'unisono col Mellotron Strings, usato si' in studio ma sovrastato dagli orchestrali, si avverte nella strofa "all i see turns to brown...." distintamente ma si tratta di una tempistica talmente ridotta e gli archi presto tornano padroni assoluti. Niente da dire sul pezzo, un classico che hai trattato con passione e competenza.
    • R13569920
      6 mar 15
      Barracuda, ci sono bootleg soundboard del '75 e '77 che testimonianodi una Kashmir notevole (Four Blocks In The Snow e The Last Concert sono i migliori).
    • BARRACUDA BLUE
      6 mar 15
      Ottima dritta Chicco, spero anche in una resa sonora decente, non ho mai avuto un debole per i bootleg, al contrario delle BBC Sessions, e non solo quelle degli Zep.
    • R13569920
      6 mar 15
      (Aspetta che frugo...) 'Madison Square Graffiti', 3CD, 12 febbraio 1975. Il migliore. Kashmir è il settimo brano in scaletta. Per la cronaca, questo è il tour della Dazed And Confused di 33/34 minuti (27/29 nel 1973), mentre nel 1977 arriverà comodamente a 45.
    • R13569920
      6 mar 15
      Un modesto parere tecnico: il clavinet c'è anche in studio, in unisono col Mellotron, e sopra i violoni arabi (non sono esattamente violoncelli, sono più cicciotti). Nelle session di registrazione hanno effettivamente partecipato musicisti arabi, non accreditati. Una delle takes strumentali di Kashmir, completa (non ne dicono il numero all'inizio) rende più chiara la strumentazione utilizzata, perché non c'è Plant. Ci sono decine di bootleg con le sessions di Physical Graffiti, il migliore sarebbe 'Complete Studio Sessions', giapponese, ma sono 12 CD e si trova poco, e costa molto. Molti si chiamano 'Alternative Graffiti', per esempio. Di Trampled Underfoot c'è la session di 18 minuti, molte le versioni di In My Time Of Dying, The Rover è stata provinata anche in acustico, eccetera; non ci sono mai Houses Of The Holy (che è una outtake dell'album omonimo ed è stata solo 'aggiustata') e Down By The Seaside, che era un'outtake di Led Zeppelin III in forma di ballad acustica, e di cui si sono perse le recording sessions, evidentemente.
    • BARRACUDA BLUE
      6 mar 15
      Dovro' fare una ricerca seria allora,
    • R13569920
      6 mar 15
      Se non vuoi spendere soldi... prova coi torrent.
    • BARRACUDA BLUE
      6 mar 15
      Cerchero' solo per uno sfizio d'ascolto, non compro piu' bootleg da una vita, in cd poi meno che mai. Sara' una scusa per riascoltarmeli, i loro vinili vedono il piatto ormai raramente, cosi' come quelli di altri storici colleghi, a un certo punto ho alzato bandiera bianca.
  • Recensione: Opera:
    Ti ringrazio e ti faccio presente che l'esecuzione del 2008 di Kashmir alla O2 arena di Londra, uscita anche su cd e dvd, è ben degna ed emozionante, bella potente col figlio di Bonham che fa la sua parte.
    • BARRACUDA BLUE
      6 mar 15
      Immagino che sul Tubo sia stato postato, appena posso lo vedro'.
  • Mr Wolf
    6 mar 15
    Recensione: Opera:
    5 stelle a questo disco? A mio parere non ci sono più di 2/3 brani degni di nota e questo è addirittura un doppio album
    • Mr Wolf
      6 mar 15
      Ah il voto è riferito solo alla canzone, chiedo venia
    • R13569920
      6 mar 15
      Contiamo i brani degni di nota, allora. Kashmir e In My Time Of Dying, non obietterai, spero. In The Light, The Rover, Ten Years Gone, anche su questi non transigo. E siamo a cinque, cinque capolavori. E Trampled Under Foot che ti ha fatto? E Custard Pie? E siamo a sette. Bron-Y-Aur e sono otto, mica la vorrai escludere, spero. Black Country Woman, nove sicuro. Almeno nove brani notevolissimi, dopo di che cosa c'è che non ti piace? Houses Of The Holy? Bene, non è la migliore dei Led Zeppelin. Night Flight? Bella, invece, le darei il numero dieci. Wanton Song e Sick Again sono oneste canzoni rock con la tipica impronta zeppeliniana, non certo trascurabili. Resta Boogie With Stu, una jam con Ian Stewart e insomma, in un disco doppio una cosina estemporanea ci sta tutta, vai a sentire Exile On Main St.
    • R13569920
      6 mar 15
      ...lo sapevi? Gli Zeppelin erano dubbiosi sul nuovo progetto e la proposta di Peter Grant fu di un album singolo, chiamato In The Light. Side 1: In The Light, The Rover, Ten Years Gone. Side 2: In My Time Of Dying, Kashmir. La cosa non andò in porto soprattutto perché c'erano brani interi già pronti (Houses Of The Holy e Down By The Seaside), e spezzoni di altri brani (Night Flight), e la session con Ian Stewart, e poi John Paul Jones aveva delle parti di clavinet che voleva incidere (Trampled Under Foot), e il disco divenne doppio. Oddio, avremmo perso Trampled Under Foot (meravigliosa dal vivo sia nel 1975 (mediamente 9 minuti) che nel 1977 (13 minuti)...
    • Mr Wolf
      6 mar 15
      My Time Of Dying ok, The Rover,ok (con un po' di riserva, gusto personale ovviamente) Trampled Under Foot ok Custard Pie ok Bron-Y-Aur ok, Black Country Woman e Night Flight carine. Per me potevano tira fuori un disco singolo, e forse sarebbe stato, non un capolavoro ma un ottimo album. Sul secondo post, non sapevo.
  • R13569920
    6 mar 15
    Recensione: Opera:
    Non avrei potuto scrivere di meglio. Ho dato 5 e 5, non so se col telefonino ha funzionato tutto bene. Non posso aggiungere praticamente nulla, se non che la versione live allo 02 di Londra è diventata popolarissima, soprattutto tra i ragazzi, che la preferiscono all'originale per il suono più 'aggiornato'.
  • Aquarius27
    6 mar 15
    Recensione: Opera:
    Ti chiedo scusa perchè posso darti solo 5 pallini, ma ne meriteresti almeno il doppio!!!
  • hjhhjij
    6 mar 15
    Recensione: Opera:
    Canzone fighissima, al disco più di un 3,5 non darei, decisamente non uno dei miei doppi preferiti (anni fa mi piaceva di più, all'inizio della mia "formazione" musicale).
  • Hank Monk
    6 mar 15
    Recensione: Opera:
    Bella bella
  • hellraiser
    6 mar 15
    Recensione: Opera:
    Ciao Pier, ti ringrazio di aver accettato la mia proposta, ne son molto contento davvero. Rece impeccabile su una canzone pilastro della band e dell'hard rock in generale, molto interessante anche la tua spiegazione tecnica sul brano, immagino l'avrai provata e suonata molte volte nel corso degli anni, e per me, che sono un virtuoso chitarrista categoria "costinata con gli amici" è un piacere scoprire le tecniche chitarristiche di Page. Concordo sulla tua definizione di "classico" riguardo alla canzone e son d'accordo su Bonzo, un fenomeno assoluto di batterista. Da questo album in poi (che forse poteva essere singolo data la presenza di alcuni brani buoni ma non eccezionali) le cose cambieranno, anche se "Presence" è comunque un buonissimo album. Ti ringrazio e metto la tua rece nelle mie preferite, saluti
    • hjhhjij
      6 mar 15
      Va buò, adesso però fila a commentare "Starless" che io a 'sto pezzo ho dato 5 ma rispetto a "Starless" perde 50 punti :D
    • hellraiser
      6 mar 15
      Fatto amigo...
    • Grazie hell. Eseguo spesso Kashmir col mio gruppo e in essa suono la tastiera (sono chitarrista, ma mi arrangio quanto basta sul mio Korg M1; alla parte di chitarra ci pensa l'altro chitarrista del gruppo).
  • Nico63
    7 mar 15
    Recensione: Opera:
    Con questa recensione metti il dito nella piaga della mia irrimediabile ignoranza in termini di grammatica della musica (e ignorantemente suono da decenni la chitarra, ma quasi sempre in clandestinità) ma... ti voglio bene lo stesso. Mi piace tantissimo anche la versione che chiude "No Quarter" di Plant e Page del '94.
  • Zarozinia
    17 mar 15
    Recensione: Opera:
    La mua canzone degli Zeppelin preferita. Non capisco una mazza di tecnica musicale, ma mi piace ascoltare. E qui è stato amore alla prima battuta

Ocio che non hai mica acceduto al DeBasio!

Per vivere con pienezza la vera esperienza dello stare sul DeBaser è bello esserci registrati.
Quindi Accedi o Registrati

 
Vedi anche
Zephyr

Zephyr

Melvins

(A) Senile Animal

AA.VV.

I Grandi Campioni del Rock - Assemini 04.09.11

Precedente
Stereo Age

Half of us

Successiva
Archers of Loaf

Icky Mettle