Zitti zitti i Leng T’che sono arrivati a sfornare il terzo Full Lenght nel giro di cinque anni: e zitti zitti hanno dato un sonoro calcio inter natiche alla loro etichetta italiana, la The Spew Records, per affiliarsi alla più importante e celebre Relapse Records.

Di certo, lameno per le loro finanze, la scelta è stata vincente ed ecco che un anno fa esce nei negozi (si fa per dire) “The Process Of Elimination”, disco ultra reclamizzato perfino con volantini in sede live. E i fan (si fa sempre per dire)? I fan non apprezzano e additano il disco come pura operazione commerciale. Ora ritengo che sia inutile calarsi nella mentalità delle tribù di Homines (mica tanto) Sapientes Brutallarenses perché spesso il loro atteggiamento è complesso e dipendente da fattori casuali, ma intendo comunque esprimere la mia opinione. Innanzi tutto, chi sono questi dannatissimi Leng T’Che? Bè, di questo ho parlato più approfonditamente nell’altra recensione ma una presentazione è doverosa.

I Leng T’ Che sono un gruppo belga in giro da un bel po’ di anni e si può considerare un Side Project di alcuni membri degli Aborted, altro importante gruppo fiammingo. Mentre quest’ultimo e maggiormente incline a suonare un Death metal dalle sfumature Grind, i Leng T’Che suonano un Grind dalle sfumature Death. Perdonate lo scioglilingua, ma è la pura verità: mentre nei primi prevale certamente l’elemento Death nei secondi, almeno fin’ora, era sempre prevalso l’elemento Grind. E con questo mi riferisco alle canzoni, della durata raramente superiore al minuto, ai temi trattati, sempre socio-politici e incentrati sull’insulto a tutti e tutto, e all’attitudine, scanzonata e oltraggiosa (l’eredità dell’hardcore punk, uno dei due generi dai quali nacque il Grind). Se con il debutto “Death By A Thousand Cuts” avevano ridisegnato parzialmente le linee del Grind e con “Man Made Predator”, loro secondo lavoro, avevano continuato a seguire la medesima strada, con questa ultima fatica i nostri si trasformano.

Qualcosa del vecchio sound rimane (“Remote Controlled”), ma arrivano anche tante piacevoli novità, prima tra tutte la riesumazione, riuscita alla grande del sound degli Entombed e non quelli del primo periodo (copiati pari pari dai Bloodbath) ma degli Entombed dopo la loro trasformazione in Rockers. Nascono così pezzi come “Pimp” o “Motorgrinding”, dove il Death si fa Hardrock e il cantante Igor diventa un Phil Anselmo vitaminizzato. Ebbene si, il mitico tossicomane degli anni novanta rivive in costui, impegnatissimo ad imitare il suo look, la sua attitudine all’insulto (praticamente un Fuck dietro l’altro) e, last but not least, i suoi vocalizzi. Il suo cantato si sposta dal growling dei vecchi tempi, sempre in misura minore, agli scream dei vecchi tempi, anch’essi messi un po’ da parte, a i versi assurdi caratteristici di questo genere musicale, per finire con un il modo di cantare tipico del frontman dei Pantera, sorta di scream addolcito (o di cantato Thrash esasperato, come preferite). I Leng T’Che non deludono sul piano tecnico e anche questa volta ci propongono una prestazione pulita e impeccabile: il chitarrista snocciola una serie infinita (ma ripetitiva) di riffoni a metà tra il Grind, uno Stoner molto violento e il Post Thrash che non saranno il massimo della difficoltà ma in un panorama come quello del Grind spiccano per tecnica e impatto. Pare infatti che l’intento primo dei Leng T’Che, a differenza di tanti gruppi simili, non sia quello di creare il peggior rumore possibile ma semplicemente quello di spaccare i timpani con della musica d’impatto.

Il drummer invece rimane più legato ai canoni del genere ma tutto sommato la sua è la prestazione più tecnica di tutte: bei cambi di tempo e una buona abilità nel rallentare per dare alle avide teste dei metallari la giusta dose di Headbanging. Infine il bassista, molto simpatico e completamente svitato ma stritolato in mezzo al martellare di batteria e chitarra. Eccellente se non di più la produzione, decisamente meno sporca di quella alla quale ci avevano abituato nei dischi precedenti (e quindi meno corposa) ma certamente vantaggiosa al fine della ascoltabilità del lavoro. “The Process Of Elimination” è un cd che consiglio a chi abbia voglia di musica per divertirsi un po’ senza rinunciare alla potenza vera e propria: le ventiquattro schegge di questo album non sono solo buone canzoni, sono anche un originale tentativo di smuovere il Grind dalla sua posizione arroccata e spostarlo verso un apertura Rock che ne esalti la potenza pur dando un taglio netto ai suoi abusati cliché.

Niente temi Splatter, niente fronzoli: musica, buona musica da consumare e da ascoltare quando si è di buon umore.

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