La polvere che tutti noi accomuna
Sia essa ancor terrena o già stellare
Viaggiò tra venti scarni di fortuna
Che rotta ancor non vogliono deviare
Il fuoco dell’allegra fanciullezza
Acceso con le sterpi del passato
Spazzato vien veloce dalla brezza
Disperso lungo i tratti del selciato
L’airone che cercammo d’inseguire
Illusi da una calma sì apparente
Volgeva già lontano all’imbrunire
Che il falco neanche potè farci niente
Il gioco cui prestammo i corpi nostri
Striscianti a stento nel fango del mondo
Ha nome vita, e giocan solo mostri
Che piazzan noi pedine tutt’in tondo. . .
E' essenzialmente questo il succo di ciò che Leonard Cohen vorrebbe comunicare a noialtri.
Un maturamento lento, all'insegna della droga e della povertà, imperiosa fonte per un'arte cantautoriale assetata e malinconica, romantica e decadente, quasi opposta al minimalismo degli Chansonnier.
Lastra di ghiaccio difficile da sciogliere che si staglia kafkianamente tra l'ardire e il sussurro, eco effimero di tale parvenza, simile e deserto allo sputo del fanciullo che ha passato il varco, forse correndo, mosso da un aprile lontano. . .
In termini poveri, Leonard Cohen
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