Dal diario di un nerd: Ammetto la mia malsana mania di spulciare Wikipedia. Ma grazie ad essa mentre frugavo nella pagina di Jeff Jordan (colui che si cela dietro ai concept grafici dei Mars Volta) mi sono imbattuto in questi Leprous, ai quali l'artista ha disegnato la copertina del loro dischetto nuovo . Non sapendo nè leggere nè scrivere ne ho ascoltato qualche pezzo sul Tubo e mi sono trovato davanti a qualcosa di veramente godurievole. Non ci ho pensato su due volte ed ho ordinato il lavoro in questione. Dopo pochi giorni posso affermare che la Norvegia mi dona sempre cose da orgasmo multiplo, così dopo Shining, Jaga Jazzist e Motorpsycho, questi. Dunque vediamo...

Cacciati di forza dalle melodie di voce epiche sparate dritte in faccia della title-track ci troviamo immersi in tempi storti, accarezzati dalla voce delicata quanto piena di Einar Solberg, che ti spedisce a faccia in giù in un ritornello che rimane in testa manco fosse un disco pop, dove le trame di chitarra s'intrecciano ai synth alla maniera dell'ultima incarnazione del Re Cremisi, quella più "metal" e fredda per intenderci. "Restless" entra in punta di piedi con un arpeggio che sa di metallo bagnato, ed introduce ad una ninna nanna vocale che viene distrutta nel ritornello dalle urla figlie di Devin Townsend (che torna alla mente anche nei puliti) che si adagiano su un levare che spacca la schiena. Lo splendore di "Thorn" mi spiazza, introdotta da una tromba mutante che pare un corno, a cui la voce fa da coro prima di un ritornello che vocalmente potrebbe essere quello che da 3 album cerca di fare Jonathan Davis, spingere sulle grida creando melodie di puro effetto, ma con meno successo dei norvegesi, basta sentire il successivo ficcante bridge dritto come un fuso in cui compare l'Imperatore Ihsahn con le sue grida insane e disperate sul cui spegnersi fa ritorno la tromba che in uno slancio freejazzistico spezza tutto. E poi viene il momento della mutazione. Un vinile va su un piatto di una stanza abbandonata, le note di una melodia perduta nel vuoto chiamano altra melodia, entra quello che sembra essere un hammond, su pezzo lento e sofferente che diventa vero sangue Radiohead, le chitarre si diluiscono proprio come quelle di mastro Jonny Greenwood, e un pianoforte carezza un assolo tirato all'estremo, fino a che la chitarra non diventa acustica, e i suoni un mare fino a sfociare in onde elettriche enormi. L'elettronica prepotente si fonde con l'acustica in "Mediocrity Wins", la voce filtrata, i synth raggelanti spettri dietro gli strumenti, il basso slappato in quasi assenza di gravità sulla melodia saltellante. Splendida scalinata progressiva finale con "Painful Detour", i cui gradini d'entrata sono i tasti bianchi e neri del synth, e poi l'inquietudine delle chitarre ad intrecciarsi, e a sfondare il cuore con una melodia gigante, dai toni grigi, malinconie e insicurezze nel freddo di Norvegia, spezzate da progressioni storte e involate su un finale dall'assolo gigasferico. 

A volte essere un nerd conviene.

Elenco tracce e video

01   Bilateral (04:00)

02   Forced Entry (10:20)

03   Restless (03:30)

04   Thorn (05:47)

05   MB. Indifferentia (06:33)

06   Waste of Air (05:32)

07   Mediocrity Wins (06:07)

08   Cryptogenic Desires (02:45)

09   Acquired Taste (05:13)

10   Painful Detour (08:18)

Carico i commenti...  con calma