Raramente si è registrato un tale sbilanciamento fra notorietà ed importanza a livello di storiografia musicale. La storicità non è infatti un attributo che manca a Les Joyaux de la Princesse, nome di culto tramandato più per sentito dire che per altro: Erik Konofal, che fonda il progetto nel 1986, è da considerare l'inventore dell'industrial nella sua interpretazione martial/ambient. Conosciuto più che altro per le illustri collaborazioni (“Ostenbraun, del 1989, con Death in June, e “Absinthe – La Folie Verte”, del 2001, con Blood Axis), Konofal non gode di grande fama nemmeno all'interno dei confini del genere: questo soprattutto per la difficile reperibilità del suo materiale, da sempre appannaggio di pochi audaci in grado di impossessarsi di opere in tiratura ultra-limitata, pubblicate e distribuite tramite canali non convenzionali, a prezzi per giunta esorbitanti. Un mercato di nicchia, ostinatamente voluto ed ottenuto da Konofal, che evidentemente non desidera un'ampia diffusione della propria arte.
La sua impronta nel panorama dark-industriale rimane tuttavia profonda, in un genere che paradossalmente vede godere di una maggiore visibilità coloro che in seguito hanno deciso di intraprendere l'impervio varco aperto molti anni prima dall'artista francese (gli stessi Blood Axis, i deprecabili Der Blutharsh, tanto per citare i nomi più noti). L'opera di Konofal è quindi anche seminale (diciamo che egli sta a questo sotto-genere dell'area industriale come Brian Williams – Lustmord – sta al dark/ambient), ma della sua vasta produzione discografica non rimane altro che il cigolio di antiquate musicassette o lo stridere di puntine su vinili destinati a perire sotto il gravare del tempo inclemente. Difficile dire se “Aux Volontaires Croix de Sang” sia all'altezza del resto della produzione targata Les Joyaux de la Princesse, visto che non abbiamo maniera di ascoltarla ed approfondirla; quel che è certo è che questo lavoro del 2007 è uno dei pochi episodi in cui sia concesso di usufruirne ai noi comuni mortali: “Aux Volontaires Croix de Sang”, contrariamente a molto altro uscito sotto il monicker Les Joyaux de la Princesse, si può trovare, quindi ascoltare, e di certo non ne rimarremo delusi. In esso l'invenzione di Konofal (un evocativo mix di elettronica, musica classica, voci, campionamenti e riproduzioni di nastri d'epoca – si parla di un periodo che si colloca fra la prima e la seconda guerra mondiale – tutto rigorosamente in lingua francese, dato che proprio la storia francese è il focus dell'intera epopea artistica de Les Joyaux de la Princesse) raggiunge la perfezione formale: difficile fare meglio del maestro, che dopo più di vent'anni di onorata militanza, se da un lato può contare su un bagaglio consolidato di esperienza, dall'altro conserva l'onestà di non farsi tentare dalle lusinghe e dalle comodità del puro e sterile manierismo.
Abituati alle brutture sonore di molti appartenenti al genere, l'impatto con la Principessa è quanto meno stupefacente: suoni levigati, fluidità, eleganza. Pare un ossimoro, considerato il tipo di musica di cui stiamo parlando, ma non lo è: l'arte assemblatoria di Konofal si basa senz'altro su accostamenti e sovrapposizioni di elementi dissonanti (l'ascendere celestiale di un organo da chiesa e l'aspro arringare di una voce tonante su una folla tumultuosa, per esempio), eppure l'orecchio non viene mai ferito dalle immagini che Konofal mette insieme.
Formalmente “Aux Volontaires...” è perfetto, e questo lo si capisce già dal brano introduttivo, quella “Sur la Tombe d'un Camarade” che con le sue note di organo lunghe e distese chiama in causa il nome di Klaus Schulze, non un nome a caso, potremmo aggiungere: come l'arte del compositore tedesco, quella di Konofal mette la tecnologia al servizio della trascendenza, ricreando luoghi e situazioni sepolte sotto le polveri della dimenticanza, se non della rimozione collettiva, con piglio sì descrittivo, ma senza mai scadere nella pura didascalia. L'occhio dell'artista, seppur distaccato, conferisce spessore alle immagini, dona vita ai ricordi, rende partecipe l'ascoltatore degli eventi evocati. E l'invocazione chiamata ad aprire l'album non è altro che un'operazione che apre un passaggio nel tempo, interviene sul moto della lancetta dell'orologio, la rallenta, fino a sospenderla per un istante, dopo il quale essa riprenderà il suo corso, ma in senso inverso, prima lentamente, poi con maggiore velocità, fino a stabilizzarsi sull'anno 1919, punto di partenza per lo sviluppo degli accadimenti narrati.
“Aux Volontaires...” esordisce quindi con gli umori degni di un requiem, principia dalla morte e in essa procede: i cupi rintocchi della campana a morto di “Champs des Martyrs” punteggiano desolati paesaggi cimiteriali, sui quali l'occhio dell'artista si posa per un solo istante, prima di sprofondare in una spirale onirica in cui gli eventi, le persone, l'eco delle loro voci dimenticate, si confondono in una narrazione che si fa elegia prima ancora che apologia. E' la dimensione del sogno, e in esso siamo condotti, per immagini, suoni, testimonianze, tasselli che compongono un mosaico dalle tinte cruentemente drammatiche.
Maestoso, tragico, monumentale: questi sono gli aggettivi che inevitabilmente saltano alla mente durante l'ascolto. Un ascolto che non è certo facile e che può tediare non solo chi è avvezzo a sonorità di questo tipo. La durata dell'opera, già di per sé, non è contenuta (sessantadue minuti, e non sono pochi), ma questo è il prezzo che deve essere pagato per la coerenza e il rigore con cui questa sorta di documentario onirico viene costruito: “Aux Volontaires Croix de Sang” si compone di ben quindici tracce, alcune molto brevi, altre più composite, che confluiscono l'una nell'altra senza soluzione di continuità, partecipi della medesima esperienza sensoriale, tanto che si potrebbe parlare di un'unica composizione. Ma che composizione!, un saliscendi emotivo che si evolve con armonia e grazia, solo episodicamente incrinato dal fragore della Storia e dal caos organizzato delle macchine (mai troppo invadenti nella loro missione rumoristica), una lenta e sfumata deriva verso l'Eternità, al passo marziale dei tamburi, al sacro levitare delle onnipresenti partiture di organo: inutile e controproducente ricercarvi guizzi di vitalità, l'eccesso che galvanizza, la soluzione che desta l'attenzione. Il discorso segue il filo narrativo su cui si basa il concept (il recupero della memoria della Croce di Sangue, movimento nazionalista francese sorto a cavallo fra le due guerre), e l'apparato prettamente musicale ne è sostanzialmente asservito. Impossibile quindi apprezzare i contorni di un corpus musicale di questo tipo senza immergersi appieno nell'atmosfera ricreata.
Non mancano comunque momenti di estremo pathos, e a tal riguardo è utile menzionare il doppiettone centrale costituito dalle tracce settima ed ottava: “Des Cris dans le Tempete” riconverte minacciosi fraseggi di organo innestandoli su una base di rumori e tumultuosi cori operistici; “Pour la Patrie (Croix de Feu ed Combattants Volontaires)” ci regala il momento più intenso del platter, servito sul piatto di un impetuoso crescendo in cui la vera elettronica (e scusate se scomodo il nome di un artista tanto distante come Fennesz) fa finalmente capolino in un lavoro caratterizzato principalmente da un modus operandi che vede il musicista impegnato a costruire scenari per semplice addizione di elementi.
“Hymne des Croix de Sang (1934)” è di nuovo stasi: da qui il viaggio si stempera in una dimensione più prettamente ambientale, fatta di silenzi, minimali linee di tastiere e i consueti sottofondi a base di voci e registrazioni, un flusso interrotto solo da “Aux Volontaires Croix e Sang” , l'unica traccia che mi permetto di skippare senza rimorsi, dato che le canzonette popolari francesi non mi sono mai piaciute (episodio doveroso, tuttavia, per completare il processo di contestualizzazione utile alla fruizione del concept – il solito rigore). Di nuovo stasi quindi, fin quando lo stridio della puntina che scorre sulla superficie screpolata di un vecchio disco anticipa le note sconsolate di un pianoforte: è la toccante voce del defunto tenore francese Charles Panzéra ad avere l'onore e l'onere di apporre il sigillo finale ad un'opera che non ha mostrato sostanziali punti di cedimento e che proprio nel finale dimostra di avere ancora importanti risorse da spendere, riservandoci il suo gioiello più prezioso, la commovente “Cimetiere (Chante par Charles Panzéra)”.
Dopo è nuovamente il silenzio; gli occhi si spalancano, le lancette dell'orologio di colpo sono al loro posto, bruscamente siamo tornati all'odierno: è quindi stato tutto un sogno?
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