Una delle uscite migliori del 2004: i Liars, trio newyorkese guidato da Angus Andrew, si lasciano alle spalle quello che avevano realizzato alla loro prima uscita e nello split con gli Oneida per stupirci, con la Esse maiuscola.
Dieci brani dai titoli chilometrici, tutti imperniati sul tema della stregoneria: musica cupa che si srotola come un brutto trip tra i meandri più oscuri dell'animo umano, testi come mantra ripetuti con ossessione, che a volte esplodono in angoscia pura (l'iniziale "Broken Witch") altre restano in una quiete ipnotica e malata; ritmiche a volte post-industrial che ti scaraventano in un inquietante futuro, meccanico e ripetitivo, senza spazio per il diverso, altre tribali, liberatorie e primordiali ("Hold Hands"); flussi di rumore e atonalità continui e psichedelici (la disturbante "Steam Rose"), e alla fine non sai più dove ti trovi, circondato da tastiere impazzite e cinguettii (la conclusiva "Flow My Tears").

Le uniche tracce "facilmente" accessibili sono la corrosiva "There's Always Room On Your Broom", che si riallaccia sottilmente al precedente lavoro della band e che ricorda forse i Butthole Surfers, e "They Don't Want Your Corn", che profuma di El Guapo, specie per il lato elettronico; qua e là sottili reminiscenze di Sonic Youth primissima maniera e Pop Group, specie per la forma di magma sonoro creato.
Musica non convenzionale, illogica, sporca e malata, canzoni (???) che pochi sanno realizzare, e ancora meno così bene, in un periodo in cui il revival del Garage Rock, specie a NYC, la fa da padrone.
Non da sentire, ma da ascoltare attentamente e più volte: può non piacere, ma è impossibile restarne indifferenti.

Carico i commenti...  con calma