" I'm just a stupid ranch hand / in a Texas rock band / trying to understand / God's master plan / When the Lord said son / tell the world before it explodes / the glory of the Texas-Jerusalem crossroads. / I said Lord / I'll make you a deal, I will /if you give me a smash hit / so I can build a city on a hill /And he said 'Son, I will if you will / I said my sweet Lord, it's a deal"

In principio furono Rocky Erikson e i 13th Floor Elevators. Poi vennero i surfisti del buco del culo e in anni tutto sommato recenti Jesus Lizard, Trail of Dead e At The Drive-In, solo per fare qualche nome. Da quasi cinquant'anni a questa parte, il Texas è stato terreno fertile per musicisti dall'approccio fuori dall'ordinario e dall'impatto infuocato come il clima desertico del Lonestar state. A sociologi e giornalisti musicali l'analisi del perchè questo avvenga - la musica come reazione allo stato più conservatore dell'Unione? Quello che è certo è che il disco dei Lift To Experience (uscito 13 anni or sono), non solo rientra in pieno in questa lunga tradizione di fuori di testa, ma brucia di promesse di redenzione e sfacciata grandeur da qualsiasi angolazione lo si consideri. Se non bastasse già la faccia tosta di voler esordire con un doppio disco, aggiungete anche l'idea di fondo: un concept sulla fine dei tempi, in cui l'Angelo del Signore annuncia a questi 3 giovanotti texani "USA is the center of Jerusalem" e il Texas come terra promessa dopo l'Apocalisse prossima ventura. Ed è un armageddon guidato da chitarre lancinanti, memori tanto degli Spiritualized (sulla custodia del cd è scritto "Ladies and gentlemen we are playing with one guitar": al tempo stesso tributo e dichiarazione di intenti) quanto dei My Bloody Valentine, con la voce a metà strada tra l'enfasi di Buckley figlio e - miserere nobis -  Bono prima che vendesse l'anima al diavolo. La sezione ritmica è giocoforza in secondo piano, senza pero' diventare anonima, anche grazie alla capacità non comune di saper assecondare al meglio tanto le cadute dal settimo cielo quanto repentine ascensioni e calme apparenti dopo la tempesta.

 "So don't speak to me of heavens above /'Cos cloud nine is where I've fallen from"

Chiaramente un disco siffatto - maestoso, disarmante, con passaggi di un'intensità quasi sinfonica verrebbe da dire - era impossibile che avesse un successore. Il gruppo infatti si scioglierà poco tempo dopo l'uscita di questo unico lavoro, con il cantante Josh T. Pearson che vagabonderà per quasi dieci anni di anni prima di riuscire a incidere il suo esordio come solista (già magnificato su queste pagine). Quello che rimane e' che i Lift To Experience hanno ottenuto quel che volevano: fare un gran disco (e questo lo è davvero sotto ogni punto di vista) forse uno dei pochi di "rock cristiano" con qualcosa da dire - sempre che questa definizione abbia un senso. E se è vero che la storia si ripete, allora non bisognerà aspettare molto per un nuovo giro di texani esaltati da chitarre e feedback. A giudicare dalla musica di questi anni, ce ne sarebbe davvero bisogno.

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