"Come dei gassosi Blue Cheer immersi nella calce viva".

Non c'è definizione migliore per inquadrare la musica dei Loop; sono andato a recuperare una vecchia retrospettiva del trimestrale "Mucchio Extra" sullo Shoegazing ed ho trovato questa illuminante nota con la quale ho voluto iniziare il narcolettico percorso scrittorio odierno.

E' il 1990 ed è il terzo album della band inglese guidata da Robert Hampson; di un oncia più accessibile rispetto agli inquietanti precedenti capitoli discografici.

Ma non fatevi fuorviare dal termine accessibile; si tratta sempre di un lavoro ostico, sulfureo. Esplosioni di Noise Rock continue, martellanti; infiniti drones chitarristici che tracimano di rovinosa psichedelia.

Chitarre mai ferme, in continuo esasperato movimento; sostenute da un basso megalomane e da una batteria squadrata che martella ai fianchi per tutta la durata dei singoli brani. A sostegno di una voce distaccata, monotona, che sembra avere origine da una lontana e glaciale galassia.

La ripetitività di un suono distorsivo, abbinato ad un senso gigantesco di ipnosi sensitiva e destabilizzante.

Esperienza uditiva mistica che brucia come il sale posto su aperte e sanguinanti ferite; un monolitico muro che si edifica intorno a circolari e granitici mantra sonori. Un voodoo elettrico da coma irreversibile.

Tempestoso frastuono che si posiziona a metà strada tra la spazialità stellare degli Hawkwind ed il rumorismo della Gioventù Sonica periodo "Evol - Sister".

L'ascolto dei primi due brani "Vapour" e "Afterglow" rende molto bene l'idea del perchè i ragazzi scelsero di chiamarsi LOOP!!

Il resto del viaggio segue a ruota...Frantumazione cerebrale...

Ad Maiora.

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