Dopo nove lunghi anni di viaggi e scoperte grazie ai quali è venuto alla luce l'immenso ed acclamato "An Ancient Muse", la nostra rossa canadese decide di fermarsi per prendersi una (meritatissima) pausa e per ritornare con questo "A Midwinter Night's Dream" (28 ottobre 2008) alle sonorità classiche, riposanti e soprattutto poco impegnative, ripescando ancora una volta le canzoni (natalizie e non) dalla tradizione folkloristica e riarrangiandole in modo assolutamente personale.

Non aspettatevi dunque di trovare le disparate influenze musicali e culturali che a loro tempo resero celebri i capolavori più applauditi, ma anzi queste saranno solo un'impercettibile ombra che farà capolino di tanto in tanto tra i brani del disco, cinque dei quali sono la discreta revisione dell'EP "A Winter Garden" (1995). "A Midwinter Night's Dream" è, nel complesso, un album semplice ed intimo rivolto all'eterno e variopinto corso delle stagioni ed in particolare all'inverno, visto dall'artista come un periodo mesto ma sorridente, stimolante la riflessione - ma penso che ciò valga un po' per tutti.

In primo luogo, la produzione risulta perfetta e cristallina come mai lo è stata: non una sbavatura che impedisca ai deliziosi arrangiamenti di condirsi armoniosamente assieme alla voce della McKennitt e, quest'ultima, a quanto pare, non sembra voler dare alcun segno dell'età, mantenendo la solita limpidezza professionale degna di un vero soprano. Loreena potrebbe campare fino a cent'anni ma la sua voce rimarrebbe quella di sempre.

Ora passiamo agli aspetti più "succulenti": aldilà degli aspetti formali, cosa ci regala questo album?

I brani sono in prevalenza molto brevi e per questo strutturati essenzialmente e linearmente: motivetti "tondi", coesi, concisi e gustosamente orecchiabili, spesso sostenuti da tappeti di percussioni tribali che strizzano l'occhio senza troppi complimenti alla cara vecchia "Marco Polo", e sprazzi di dolce, profonda ed eterea introspezione.

Nel primo caso possiamo mettere in evidenza la floreale allegria di "Good King Wenceslas", dove si svolge un vero e proprio scambio di battute tra voce, flauti, violini e chitarra, mentre nella quiete trascinante e gioconda di "Noel Nouvelet!" e soprattutto nell'oleosa ed avvolgente "God Rest Ye Merry, Gentlemen" si riesce ancora ad avvertire un denso ed inconfondibile sentore mediorientale - tendenza che Loreena molto probabilmente non abbandonerà mai.

Per quanto riguarda l'altro aspetto più atmosferico vanno menzionate l'opener "The Holly & The Ivy", illuminata da una malinconia latente ed indefinita (complici le vibranti note di pianoforte), la pluri-rivisitata "Snow", dove la calda voce di Loreena si erge diafana in un tripudio di archi e strumenti pizzicati, ed infine le strumentali "The Breton Carol" e "In the Bleak Midwinter", indubbiamente pittoresche e raffinate ma non certo degli episodi rimarcabili.

L'album si evolve in modo convincente senza tuttavia lasciare a bocca aperta (cosa che è accaduta ascoltando quasi tutti i predecessori), girovagando pacatamente fra i momenti più memorabili e festosi, ossia quelli che si imprimono morbidamente in testa, e le canzoni che svolgono un ruolo di pregevole e ricco contorno, ma pur sempre di mero contorno si tratta. Alla luce di un'analisi più obiettiva il disco risulta effettivamente a tratti come diluito, omogeneo e molto "acqua e sapone": quasi sembra che sia stato composto con un certo disinteresse, senza alcun afflato di geniale ispirazione.

"A Midwinter Night's Dream" è, tutto sommato, una generosa boccata d?aria fresca dopo un'impegnativa immersione, nonché la degna sintesi delle innumerevoli esperienze vissute dall'artista ed una nuova anticipazione di probabili lavori futuri che si aggiungeranno alla sua carriera, lungi dall'essersi conclusa. Siamo di fronte ad un capolavoro? No di certo. Ciò non implica che non sia una godibilissima opera policromatica intagliata con cura e dedizione in casa McKennitt, e questo la dice tutta sulla sua (invidiabile) qualità.
A voi ora il verdetto.

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