Ritmo e melodia sono, per Lou Harrison, le caratteristiche più importanti nella musica: ecco definito lo stile di un compositore americano per cui è stato più facile guardare a Oriente che alle astrazioni della vecchia Europa.

"A Portrait", cd antologico pubblicato dalla Argo, ci offre appunto un ritratto di questo musicista, autore gradevole e coinvolgente che smentisce tanti luoghi comuni sulla musica contemporanea, in primis la sua astrusità e sgradevolezza all'ascolto.

Tanto che nel brano più lungo di questo cd, la Sinfonia n. 4 "Last Symphony", Harrison si serve della voce di Al Jarreau, il celebre vocalist all'incrocio tra jazz, pop e r'n'b, che in questo caso presta i suoi servigi nella quarta e ultima sezione della sinfonia, cantando o declamando ritmicamente tre Coyote Stories della tradizione Navajo. Vasta sinfonia (42 minuti di durata) ultimata nel 1990 ma in seguito più volte rivista, nelle prime tre parti descrive con efficacia distesi paesaggi sonori.

Basta invece ascoltare poche note di "Solstice" o del "Concerto in slendro" per farsi proiettare all'istante in atmosfere esotiche che richiamano i gamelan giavanesi o di Bali, cioè i piccoli ensembles di musicisti caratteristici di quelle culture, in cui predominano le percussioni intonate. Se di "Solstice" per otto strumenti (1949-50) vengono offerti in questo cd, per ragioni di spazio, alcuni estratti (17 minuti sulla mezz'ora di durata complessiva), il "Concerto in slendro" per quattro strumenti e percussioni (1961) è registrato per intero: 10 minuti articolati in tre episodi veloce-lento-veloce, in cui il debito verso la musica indonesiana è evidente fin dal titolo, essendo lo slendro una scala pentatonica senza semitoni e uno dei due principali sistemi di intonazione su cui si basa un gamelan giavanese.

Da segnalare che il cd si conclude con un autentico gioiello, l'irresistibile "Double Music" del 1941, così intitolata perché scritta a quattro mani con John Cage. È un breve brano (4'20") per percussioni che possiede un'indiavolata vivacità ritmica e una suggestiva alchimia di sonorità ricavata dalle percussioni impiegate, esclusivamente metalliche. Brano che tra l'altro demolisce uno dei dogmi della musica occidentale, cioè la paternità individuale dell'opera: qui Harrison e Cage si spartiscono il lavoro compositivo dopo essersi accordati sui principi generali, scrivono ciascuno per proprio conto, mettono assieme il risultato, e alla fine non cambiano una nota.

Per chi è interessato a scoprire o approfondire la figura inconsueta e intrigante di Lou Harrison (1917-2003), l'ascolto di questo ritratto è dunque un'opportunità da non trascurare.

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