A uso e consumo del giovanotto ignaro che eventualmente passasse da queste parti, ecco a voi un bignamino Velvet

Allora...

“L'equivalente occidentale della danza mistica di Shiva suonato come se Babilonia prendesse fuoco”. (Citazione di non ricordo chi)

Feedback...tam tam dei sobborghi...poesia lontanissima da qualsivoglia cielo psichedelico....

Il caos quindi, ma non solo, che qui parliamo di un mostro a due teste. Ecco allora canzoncine sinistre, madrigali stridenti, ballate con celesta.

In sintesi (anche se le sintesi mi stanno antipatiche) quel che abbiamo è spietatezza sonica e sorprendente eleganza....

John Cale era l'architetto sonoro, l'alchimista.

Lou Reed, l'eccelso songwriter.

Nico, invece, la dea di passaggio, tre canzoni appena nel primo epocale album.

Tre canzoni e tre voci: bimba in castigo, ieratica valchiria, Dietrich dell'underground.

E quella della bimba in castigo è tra le dieci che suoneranno al mio funerale...

Fine del bignamino.

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“Le Bataclan 1972 “, cronaca di un memorabile concerto, è un disco di una bellezza stupefacente.

Sono solo John, Lou e Nico, ovvero quei tre, quei tre e nessun altro.

Se lo ascoltate la magia invade la stanza, lo stato percettivo cambia.

Un collante, misterioso e sottile, lega tutte le canzoni e quel collante è una certa idea di ballata. “High voltage inside”, diceva quello.

Con le più stridenti pagine Velvet che si trasformano in un narcolettico rito di iniziazione o, se preferite, in una specie di musica da camera per desperados.

Senza feedback, senza tam tam dei sobborghi.

E solo la viola di John a gettar ogni tanto l'esca affinché per un attimo riabbocchi l'antica follia rumorista.

Niente di strano, allora, se anche i momenti in solitaria (il medioevo psichico di Nico, l'istinto horror di John, il genio sempre e comunque di Lou) partecipano dello stesso raccoglimento e della stessa magia.

E' la ballata, bellezza...

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Un miracolo...anzi due.

Che il primo di miracoli è che quei tre siano li insieme.

E che cavolo, Lou, quattro anni prima, aveva cacciato John dai Velvet!!! Divergenze artistiche (più caos John, meno caos Lou) e puro egocentrismo.

Oh Lou, ti ho amato tanto, ma tanto davvero, E allora qualche sassolino dalla scarpa posso pure togliermelo. Eri insopportabile e arrogante come pochi.

Quando ho letto di quella volta che Nico, dopo la tua solita cazzo di scenata durante le prove, se ne è uscita con quella frase favolosa, ho riso fino alle lacrime.

“Devo smetterla di andare a letto con degli ebrei”, ti ha detto. Era una delle poche che, qualche volta, riusciva a metterti sotto.

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E comunque...

Ecco “I'm waiting for the man” a passo rallentato...

Il favoloso mezzo boogie di certe ballate del nostro Lou.

Intima, raccolta, vibrante di miracolosa alchimia, stende, per così dire, i tappeti. Accomodatevi, prego.

Niente rock'n'roll, è il piano di John ad accompagnarci chissà dove.

Ecco “The black angel death song”...

Com'era la storia? Eravate in quel locale, no? E cosa vi aveva detto quel tizio, il proprietario? Ah si, una cosa del tipo: “suonate ancora una volta quella cazzo di canzone e avete chiuso”.

A parte che poi l'avete suonata, che cosa gli aveva dato tanto fastidio?

Le strane auliche parole accoppiate a un perverso sadismo sonoro? Oppure quel “ai ci ci ci ci ai ci ci ci ka ta kò choose to choose”, come a dire che solo dall'insensato può emergere una qualche specie di saggezza?

Sia come sia, in Bataclan, di quel caos rimane l'appena appena di una viola e di una chitarra acustica, E, diciamo così, basta e avanza.

“Heroin” parla la stessa lingua dell'angelo nero, Entrambe spogliate dell'antico caos, il loro scheletro rivela la quintessenza delle ballate più nere

Poi Nico, il germanico sussurro di “I''ll be your mirror” e “Femme fatale,” e la stranezza di una “All tomorrow parties” solo voce e chitarra. E qui non dico niente, che vuoi mai dire infatti.

Magari solo che il mio cuore velvettiano va in pezzi...

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Poi i momenti solistici...

Nico da un saggio, quattro pezzi uno più bello dell'altro. del suo apocalittico folk da camera: trame ipnotiche, suoni catturati sull'orlo del precipizio.

E iI declamare eloquente e disperato di una voce di ghiaccio.

Lou offre due canzoni dal suo non imprescindibile primo album, qui però sono un'altra cosa.

E' soprattutto “Berlin” a stupire.

Come un buon rosso che abbia bisogno di decantare, prende aria. E l'aria, anche se è quella di un locale fumoso e affollato, è proprio quel che ci voleva.

Lou la presenta come “la mia canzone alla Barbra Streisand”, ma facciamo che, con quel canto annoiato e languido e gli interludi pianistici da brivido, è una specie di cabaret degli inferi.

Per John, invece, tre ballate solo voce e chitarra, veste davvero insolita per lui. Un bacio da innamorati a “Ghost story”, il mio brano preferito di “Vintage violence”, unico suo album solista all'epoca e primo passo di una carriera da grande, meraviglioso eccentrico...

Ciau...

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