Sei anni di prigione son lunghi. Il tempo scorre piano, maledettamente lento, in testa uno ha mille pensieri, tormenti, attimi di sconforto, di debolezza. Si ha anche tutto il tempo per pensare al proprio passato, valutare cose positive o negative e ti viene fuori un senso di rivalsa, di febbrile voglia di uscire e di risorgere, di riabbracciare il tuo strumento e tirare fuori davanti al mondo il meglio di se...Questo ovviamente posso solo immaginarmelo, non sono mai stato in galera e spero non accada mai, chi lo sa, comunque penso che questo sia stato lo stato d'animo di Arthur Lee in quel periodo.

Nel lontano ormai 1967, Lee aveva solo 22 anni e con il suo gruppo, i Love, diede alla luce la sua opera più profonda ed importante, l'album "Forever Changes", ormai considerato un "masterpiece" dagli addetti ai lavori e dagli appassionati di musica in generale. In quel periodo non se lo cagò nessuno però; nell'era della "summer of love", della musica allegra, felice, spensierata, pochi o nessuno avevano notato la bellezza di quest'opera, che difatti vendette molto poco e solo successivamente venne rivalutata ed elevata a grande album. Canzoni ben realizzate, ben suonate, ma attorniate da un profondo senso di malinconia, incertezza, che ben si distanziavano dal modo di vivere e di pensare dei giovani in quel periodo; inoltre il disco fu anche poco pubblicizzato dal vivo, poche date e poche canzoni dell'album furono suonate live dalla band, soprattutto a causa della volontà di Lee di non allontanarsi troppo da Los Angeles e dintorni, impaurito dal fatto di non poter reperire con facilità l'eroina, di cui era (come gli altri della band) consumatore accanito.

Uscito dalla galera, nel 2001 Lee aveva voglia di rimettersi in gioco, salire su un palco e riportare alla luce la sua opera magna, divertendosi e lasciando alle spalle un brutto periodo della sua vita. Ingaggiò una band, i Baby Lemonade, musicisti eccellenti che da sempre avevano amato ed apprezzato la musica dei Love, ed una sezione orchestrale svedese, diretta dal compositore Gunnar Norden, voglioso di portare in giro per il mondo finalmente l'intero album, cosa mai successa prima. I concerti partirono dall'Inghilterra, precisamente con la data a Milton Keynes, scelta ideale in quanto fu proprio in quel paese che l'album arrivò al numero 24 in classifica, migliore posizione mai ottenuta dall'opera, mentre la data che fu registrata per poi comparire sul disco è quella al Royal Festival Hall del 15 gennaio. 

Lee e soci vennero accolti da un grande applauso mentre salivano sul palco; Lee ringrazia il pubblico e la band parte subito con l'arpeggio acustico iniziale di "Alone Again Or", meravigliosa canzone di apertura, caratterizzata dal morbido cantato del leader, impreziosito dal grande lavoro della sezione orchestrale, dai fiati mariachi e dall'ottimo lavoro della band che riproduce fedelmente l'originale in studio. "A House Is Not A Motel" inizia con il suo potente incedere, rivitallizzata anche da uno splendido gioco di chitarre tra Lee ed il preciso Squeezebox, che si lancia anche in un potente assolo che delizia il pubblico. La delicatezza e la purezza di "Andmoreagain" è a mio modo di vedere eccezionale; morbida, avvolgente, delicata e cantata in modo sentito e vivo dal musicista di Memphis, eccezionale interprete e con una voce degna degli anni d'oro passati. Lee, sempre magro come un chiodo e visibilmente invecchiato da una vita sempre vissuta al massimo, sembra ringiovanito e rivitalizzato nello stare sul palco a fare quello che gli viene meglio; canta con il cuore le canzoni, sempre con quella voglia di stupire ed incantare il pubblico presente, che lo incita e lo ama. "The Red Telephone", altro pezzo classico dell'album, appare anche meglio in versione dal vivo, come anche la magistrale "Live And Let Live". Dopo la spensierata "Bummer In The Summer" è la volta della fantastica "You Set The Scene", che partendo con un ritmo sostenuto, si trasforma in una delicata ballata d'altri tempi; il ritmo cala, la canzone si trasforma e si snoda su percorsi diversi, il lavoro dei fiati e dei violini è eccellente, niente lasciato al caso, tutto ben studiato ed emozionante. C'è ancora tempo per altri classici della band, "Seven And Seven Is", uno dei cavalli di battaglia dell'album "Da Capo" e "My Little Red Book", storico brano di Bacharach già presente nell'album omonimo di debutto dei Love, sempre eseguite in modo impeccabile dai vari strumentisti.

Posso solo consigliarvi di cercare il disco in questione, molto ben fatto e fedele all'originale in studio, toccante, emozionante, che trasmette gioia ma allo stesso tempo quella malinconia positiva che valorizza le canzoni. Lee morì qualche anno dopo di un male incurabile e violento ma l'eredità lasciataci è enorme e per questo da appassionati di buona musica lo ringrazieremo per sempre...

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