«Vorrei fare umilmente osservare che non ho più notizie di mio marito da 18 giorni. Mi permetto di cominciare a stare rispettosamente in pensiero»
Queste sono le parole pronunciate cinquant’anni fa, con voce delicata, da una donna umile e dimessa, attaccata alla cornetta del telefono di casa, mentre cercava il marito di cui non si avevano più notizie da giorni. Una scena qualunque, che dava le prime pennellate al quadro tragicomico di un’opera che avrebbe cambiato per sempre la settima arte nel Belpaese.
Poi un epilogo esilarante, con il muro dei vecchi gabinetti dell’azienda sfondato a colpi di mazzetta, dal quale riemerge il povero ragionier Fantozzi, tra stordimento e calcinacci, neanche fosse un minatore sepolto dopo un crollo nelle profondità di un cunicolo. Tutti, alla "ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica" si erano dimenticati di lui ma non la sfiorita moglie Pina, in apprensione a casa insieme alla mostruosa figlia Mariangela.
“Fantozzi” nasce dalla penna di Paolo Villaggio, tra le pagine del suo primo omonimo libro del 1971. E arriva al cinema quattro anni dopo, nel 1975, dopo l’uscita in libreria del secondo capitolo della saga: “Il secondo tragico libro di Fantozzi”.
Le riprese sarebbero iniziate molto prima, se il primo regista scelto da Villaggio, Salvatore Samperi, non avesse deciso di abbandonare il progetto. Con Luciano Salce si ripartì e il resto è storia, anzi leggenda.
Fa strano pensare che sia passato mezzo secolo, data la contemporaneità e l’attualità dei fatti e dei personaggi che accompagnano il goffo ragioniere. Da quella metà degli anni Settanta sono cambiate le cose ma la trama di fondo, alla fine, rimane amaramente la stessa. La nostra sveglia continua a suonare, le regole, gli atteggiamenti e le ansie, seppur sotto forme differenti, rimangono gli stessi. Come la nostra voglia di ridere del collega o del vicino di casa, del loro essere vessati o strapazzati dai superiori o da chi sta loro intorno, facendo finta di non accorgerci che il problema è anche e soprattutto il nostro.
La società è cambiata ma l’essere umano no. Chi non ha avuto un amico e compagno di sventure come il ragionier Filini, pieno di iniziativa nel trascinare il collega Ugo in situazioni al limite del grottesco. Come non ridere ancora, vedendo la partita a tennis nella nebbia, con quel “Batti Lei!” che all’epoca avrà fatto rabbrividire La Crusca, vedendo spacciato quello strafalcione per un congiuntivo, ma ha anche sdoganato di fatto un’espressione scolpita nell’eternità.
C’è tutto l’universo dell’uomo italiano medio. C’è la partita di calcio con i colleghi, la battuta di caccia domenicale o la gita al lago di Bracciano, con annesso campeggio e tragico montaggio della tenda. Filini organizzerà anche quell’assurda festa di Capodanno, nello squallido scantinato animato dalla musica dello squinternato maestro Canello, che per svignarsela prima della mezzanotte, taroccherà le lancette dell’orologio, passando dall’ora solare a quella legale in un attimo. Non prima che il povero Fantozzi abbia patito le pene dell’inferno, per colpa di un cameriere talmente incompetente e imbranato, da darci quasi fastidio.
Poi c’è il difficile rapporto con il gentil sesso. Da una parte la fedele moglie Pina, sempre al fianco del marito nella sua sventurata quotidianità; dall’altra l’inguardabile figlia Mariangela, che appesantisce la realtà domestica nel suo insieme. Poi c’è la donna dei sogni proibiti, quella signorina Silvani così volgare e strafottente, da risultare irresistibile agli occhi del suo mai arrendevole corteggiatore. Fantozzi, oltre al problema della mediocrità, dovrà fare i conti con il camaleontico geometra Calboni, talmente furbo e incasinato al punto da essere affascinate agli occhi della Silvani, che non gli resisterà.
Per la “provocante” signorina Silvani, Fantozzi farà davvero di tutto, anche provare a dimagrire senza alcun successo, facendosi di fatto torturare e dovendo ricorrere ad un'improbabile pancera, per portarla al ristorante giapponese. Farà anche il terzo incomodo partendo per una gita a Courmayeur, durante la quale farà a gara con Calboni nello sparare balle, fino ad arrivare a spacciarsi per campione nazionale di sci, rischiando a conti fatti la vita ma raccontandocelo nel modo più divertente possibile.
Fantozzi è sfigato e spesso se le va a cercare ma non gli manca il coraggio. Un coraggio fine a se stesso, che in definitiva non ha mai scampo ma che lo rende umano e ci fa parteggiare per lui, anzi…per noi.
Come quando prende lezioni di biliardo di nascosto, arrivando a fingere di avere un’amante segreta, tradito in definitiva dagli strumenti del mestiere, che lo smaschereranno, ancora una volta. Quindi passerà da “coglionazzo” a campione in una sera, davanti a tutti, riappropriandosi per qualche minuto della dignità e dello sguardo fiero della moglie Pina. Anche a costo di doversi dare alla fuga, rapendo l'adorata anziana madre del padrone di casa, il megadirettore clamoroso, conte Catellani.
Il rapporto di Fantozzi con l’autorità è quello che abbiamo in fondo tutti noi. Dopo tante umiliazioni arriva la ribellione, tradotta in sassate alle finestre dei piani alti della Megaditta, dopo un’attenta riflessione sovversiva ispirata dal collega comunista Folagra, che gli apre gli occhi sul capitalismo. Alla fine, la bravata porterà ad un epilogo del tutto inaspettato, ben lontano dalla crocifissione in sala mensa, ventilata da Fantozzi. Il Megadirettore Galattico lo perdonerà e lo farà entrare di diritto nel grande acquario degli impiegati.
Paolo Villaggio ha raccontato un po’ di sé e un po’ di noi, di Roma e della sua Genova, di un’Italia che non c’è più ma che era stilizzata all’interno del film, sospesa in una dimensione tutta sua.
Fantozzi rimarrà per sempre un capolavoro del nostro cinema, al netto dei detrattori, perché ce ne sono stati e sempre ce ne saranno. Ciò che non dovrà mai mancare, a chi segue le gesta del ragioniere più famoso d’Italia, è quel pizzico di ironia e malcelata autocritica, che ci consente di ridere a crepapelle delle nostre disavventure, magari sentendoci estranei ad esse.
Perché nella vita è bene non prendersi mai troppo sul serio. Senza esagerare, ovviamente.
Buon compleanno ragioniere.
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