Questo è un album cruciale. Nella storia di Dalla e in qualche modo, in quella della canzone italiana.
Il (non ancora) cantautore bolognese arrivava da una lunga storia artistica fatta di jazz, all'inizio, lunghissimi anni nel sottobosco della canzone italiana, e, in tempi più recenti, da tre album magistrali ma forse troppo cerebrali per acchiappare il grande pubblico, realizzati con il fondamentale apporto del poeta Roberto Roversi ("Il giorno aveva 5 teste", "Anidride solforosa" e "Automobili"). Ma a questo punto, siamo nel 1977, Dalla decide di fare tutto da solo: una decisione coraggiosa, perché, in un momento in cui Dalla deve decidere se restare un cantautore di culto per pochi eletti o cercare di agganciare un pubblico più vasto, si assume praticamente la prima volta (se si esclude un episodio di molti anni prima: "Non sono matto o la capra Elisabetta") la responsabilità dei testi.
Nel momento di prendere la penna in mano, Dalla deve aver pensato a quale linguaggio adottare. Dopo anni a stretto contatto con un poeta come Roversi, non deve essere stato facile calarsi in una realtà linguistica più… concreta, meno immaginifica, più intelligibile, se vogliamo, e tuttavia, non banale, efficace e in qualche modo aderente ad un poetica musicale (nello scrivere musica ma anche nel cantarla) che Dalla comunque aveva sempre avuto. Il risultato di questo lavoro non ha quasi nessuna delle incertezze o delle ingenuità dell'opera prima: questo disco offre alcuni momenti che non sono resteranno dei capisaldi nel percorso artistico di Dalla, ma che rappresentano alcuni tra i massimi momenti della canzone d'autore italiana.
"Corso Buenos Aires", ad esempio, ricca di invenzioni linguistiche straordinarie che, di pari passo con uno svolgimento musicale nervosissimo, riescono a rendere perfettamente la frenesia metropolitana; "Disperato erotico stomp", la più agghiacciante descrizione di un'assoluta, disperata solitudine, resa ancora più devastante da un tono leggero, quasi scanzonato; "Quale allegria", sconsolata considerazione sull'impossibilità a comunicare… Ecco: ascoltandolo distrattamente è difficile accorgersene, ma questo è un disco di una disperazione assoluta. Seppur mascherata da una grande leggerezza nei toni (non nei concetti!), da una grande facilità musicale, da ariette divertenti, coretti femminili, strizzatine d'occhio, da una voce che svolazza duttile, nervosa, ironica, incredibilmente espressiva…
Disco cruciale per Dalla, si diceva, perché rappresentò la migliore dimostrazione di un'abilità fino a quel momento non compiutamente espressa, e quindi il viatico per un percorso che lo avrebbe visto realizzare altri due capolavori con gli album successivi a chiudere il vecchio decennio e a iniziare il nuovo. Poi sarebbero venuti per il musicista momenti meno felici e una strada sempre più difficile da percorrere. Ma questa è tutt'un'altra storia…
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