Caldo umido e appiccicoso; aria ferma e viziata, da periferia urbana tranciata da troppe strade. Uno stentoreo “Chissà!...” proveniente dalla radio lasciata accesa nella notte e il clima disagevole della piena estate padana, quasi trenta gradi belli afosi ancora alle due e mezza di notte, si coalizzano per un attimo a pretendere il mio risveglio.

O quasi... Rimango in quello stato inebetito fra i due mondi onirico e reale, ed è in questa condizione senza pensieri e senza difese e preconcetti che la musica riesce ad invadere il cervello con la massima forza, senza trovare ostacoli o deviazioni, creando situazioni definitive, incidendo anche in maniera perenne nella coscienza così oscenamente spalancata. E allora mi ingoio, anzi mi faccio trapassare da questa splendida canzone del brutto, antipatico, avido, geniale, unico Lucio Dalla al culmine della sua arte.

E’ semplicemente la mia emittente FM locale preferita che sta trasmettendo il solito nastro notturno, sentito e risentito… In un barlume di razionalità rilevo a me stesso che a questa canzone di Dalla seguirà come al solito l’altrettanto bella, anche se di tutt’altri mondi, “Burnin’ Sky” della Bad Company, ma ormai i giochi sono fatti e sarà questa “Futura” a rimanere incisa a fuoco nei miei migliori ricordi a simbolo di un’età, di una scelta di vita; attorno ad essa e ad ogni suo anche presente ascolto, persiste un coagulo di libertà, giovinezza, adulta innocenza.

Cosa mi sta accadendo di tanto speciale per eleggere quel notturno attimo a passaggio epifanico decisivo della mia vita? Niente... sono solo come un cane nella mia casa da studente, dalle finestre tutte spalancate per far respirare i muri dopo la giornata torrida; due camere e cucina divise con altri quattro coetanei, in quel momento tutti assenti, già in vacanza visto che siamo a fine luglio. Ho un esame universitario ancora fra i piedi? O forse sono ancora lì semplicemente perché vale sempre la pena di star lontano da casa mia, coi miei in rotta da sempre a litigare come delle bestie e a dimostrarmi, ciascuno nel proprio stile, ottusa mancanza di rispetto e stima. E sì, ci sarebbero il mare di casa ed i vecchi amici e i tanti luoghi familiari da raggiungere, ma sono grato a questa città che mi ospita, grande e complessa, piena di ragazzi e ragazze che vengono da tutta Italia, così interessanti e stimolanti, tanto da scegliere di starci fino all’ultimo momento ed oltre prima della pausa estiva, anche se mi ritrovo da solo con più nessuno a cui dare e ricevere compagnia.

Da solo ci so stare del resto... non ho bisogno sempre di aprir bocca, di raccontare e di ascoltare; è bello anche godersi e riflettere sulla situazione generale della prorpia esistenza, ciò che si è fatto, ciò che si vorrebbe fare. Sono solo e sto in mutande direbbe Dalla, ma diversamente dal racconto di quell’altra sua canzone io sto benone, perché sono giovane e ho la vita ancora davanti. Mi annoio un po’ al presente ma sono in pace, non foss'altro che gli abituali rompicoglioni della mia vita sono a distanza di sicurezza. Certo una ragazza… un po’ di sesso non guasterebbe ma dai... sarebbe troppo caldo anche per goderselo veramente, stanotte. Sono uno studente fuori sede, in una città molto più stimolante della mia, responsabile di me stesso ventiquattr’ore su ventiquattro, coi miei pensieri e bisogni di studio e di affetto certo, ma con un’adeguata libertà di scelta, pochi soldi in tasca ma sufficienti a ciò che serve: sono diventato adulto. Mi sento libero e in piena autodeterminazione, ancora inattaccabile di salute come ci si può sentire solo quando si hanno più vent’anni che trenta e la salute c’è eccome, e allora la si dà per scontata.

Insomma sono… felice, come ogni tanto ci si sente nella vita, e poi se si ha fortuna si radica il momento nella memoria, ad eterno beneficio e pure consolazione nei tempi più duri.

Quando e quanto sono stato felice nella mia vita? Alla nascita di mio figlio? Passato alla grande quell’esamone? Quando avevo trovato quel lavoro importante? Sì, bei momenti importantissimi ma la psiche è una strana bestia ed i miei momenti di felicità pura li associo più facilmente ed istintivamente ad esperienze razionalmente assai più banali, tipo quando a sei anni ho scartato quel regalo sotto l’albero e si trattava della cassetta di legno del Meccano (cassetta n.6 rammento… la n.5 era invece più piccola e di cartone). O anche quando ho visto la baia di San Francisco venirmi incontro in notturna dall’oblò dell’aereo dopo le tredici ore di volo del mio primo viaggio negli U.S.A., e di sicuro quando ho sbirciato il sedere della mia somma amata che riguadagnava la camera da letto, tutti e due provenienti dal bagno dove eravamo andati a lavarci dopo averlo fatto, per la prima e ultima volta ahimè! Il più clamoroso una tantum sessuale della mia vita.

E poi appunto quando, nel dormiveglia, questa canzone mi ha colpito al cuore. E sarà stata pure la decima o quindicesima volta in vita mia che la sentivo ma tutte le altre occasioni erano state di giorno, quando si è indaffarati, sociali, protetti, prevenuti e schermati. Una canzone composta, narrano le biografie, davanti all’orrendo muro di Berlino ancora in pieno servizio, col cantante ed autore italiano seduto su di una panchina ed in giro solamente un altro tizio, curiosamente anch’esso cantante ed autore, a nome Phil Collins, dieci metri più in là ed a sua volta in panca a fumarsi una sigaretta e riflettere davanti a quell’abominio (“…i russi, gli americani…”).

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