Nel 1968 delle grandi contestazioni la commedia all'italiana sferra un'unghiata nei confronti dell'apparato sanitario pubblico, le cui piaghe e storture erano già allora al centro del dibattito. Il film di Luigi Zampa è tratto da un libello satirico di Giuseppe D'Agata (sceneggiato da Zampa, Sordi e Sergio Amidei) ed è costruito attorno al fenomeno, tanto ignobile quanto diffuso, della "commercializzazione" dei pazienti, conseguenza inevitabile di un sistema dove i medici per sbarcare il lunario devono accaparrarsi il maggior numero possibile di mutuati.

Neo-laureato in medicina, il protagonista Guido Tersilli vuole fare carriera e aumentare i guadagni procacciandosi instancabilmente nuovi pazienti, aiutato dalla fidanzata e dalla madre. L'occasione per fare il grande salto arriva quando un collega, famoso per essere riuscito a conquistarsi oltre duemila mutuati, ha un collasso per il troppo lavoro: Tersilli ne corteggia con successo la moglie e, alla morte di lui, ottiene in dote il ragguardevole "bottino". Oberato dal lavoro, dopo aver scaricato sia la fidanzata che la vedova ed essersi sposato con la ricca figlia di un costruttore, Tersilli viene a sua volta ricoverato per esaurimento nervoso e deve difendersi dalle grinfie dei colleghi che vorrebbero ereditarne i mutuati...

Le premesse per un film di forte impatto satirico non mancavano di certo. Ma Il medico della mutua, commedia all'italiana fra le più celebri, non è una delle più riuscite. Dei pregi (scioltezza narrativa, accurata descrizione del contesto, forza civile) e dei difetti (qualunquismo, ambiguità ideologica, tendenza alla stereotipo e alla macchietta) che hanno contraddistinto il genere principe della nostra cinematografia, il film di Zampa e Sordi è esemplificativo soprattutto dei secondi: la denuncia delle anomalie della struttura sanitaria non è molto approfondita, e la forza polemico del soggetto finisce per annacquarsi in un meccanismo fatto di scenette divertenti, più improntate alla farsa (e alla barzelletta) che alla satira. Questo non toglie che la comicità dell'operazione, ancorché rozza e qualunquistica, abbia una sua efficacia; che la rappresentazione grottesca di un sistema inquinato da corruzioni di ogni tipo - fra burocrazie inefficienti che incoraggiano le frodi con la loro mancanza di controlli e dottori che in nome del denaro si fanno allegramente beffe del giuramento di Ippocrate - possegga una certa utilità civile (e all'epoca non mancarono lamentele da parte delle alte sfere dell'ordine dei medici); che la descrizione del contesto sociale, di un Italietta quotidianamente dedita ai raggiri e alle micro-truffe, sia ancora oggi terribilmente attuale.

L'attrazione principale dello spettacolo è ovviamente Alberto Sordi, anagraficamente un po' fuori parte ma assolutamente a suo agio nei panni dell'ennesimo arci-italiano arrivista, furbo, cinico e mammone, con un fondo di ribalda canaglieria che ne fa l'autentica incarnazione dell'antieroe tipico di questo genere di commedie: allo stesso tempo simpatico e deplorevole, amabile e ripugnante, in definitiva specchio nel quale lo spettatore italiano si identifica finendo per ridere di sé stesso più che indignarsi. Di fronte al mattatore Sordi gli altri attori si limitano ad abbozzare macchiette variamente caustiche: Claudio Gora è il primario ipocrita che deplora la mercificazione della professione e intanto riscuote enormi parcelle; Nanda Primavera è la madre che trova nella carriera di Guido la compensazione dei "sacrifici sofferti" per allevarlo; Sara Franchetti e Evelyn Stewart, le due belle ragazze che affiancano Tersilli, sono nient'altro che una presenza decorativa; su tutti si impone Bice Valori, divertente interprete della vedova Bui, tratteggiata come una caricatura delle dive del muto.

La regia di un insigne professionista come Luigi Zampa si tiene a distanza e non fa altro che registrare la performance attoriale di Sordi, con indubbia pulizia e qualche raffinatezza visiva di gusto vagamente liberty (il corteggiamento di Amelia Bui da parte di Tersilli). La colonna sonora di Piero Piccioni, con il suo motivetto principale (la Marcia di Esculapio), è giustamente entrata nell'immaginario musicale degli italiani.

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