La storia dei Lullaby For The Working Class inizia a metà anni 90 in Nebraska, per la precisione nella capitale dello stato Lincoln. Qui 3 ragazzi, poco più che ventenni, si incontrano e danno vita ad un gruppo: il primo, Ted Stevens, è un classico songwriter chitarra-voce che si rifà alla tradizione folk-country, gli altri due, Mike e A.J. Mogis, sono due fratelli musicisti e proprietari di un piccolo studio di registrazione.

Questo il nucleo di una band che nel breve arco temporale della sua esistenza ha pubblicato tre album, sciogliendosi alle porte del nuovo millennio. Il secondo di questi tre album è “I Never Asked For Light”, che si pone in continuità stilistica con l’esordio “Blanket Warm”. Perle acustiche di rara delicatezza firmate da Stevens, su cui Mike Mogis imbastisce arrangiamenti, rigorosamente acustici anch’essi, cesellando con banjo, mandolino, glockenspiel, kalimba e svariate tastiere. A completare il tutto archi e fiati usati sapientemente, tali da non risultare mai enfantici o invadenti.

Un connubio artistico, quello tra Stevens e Mogis, che ad alcuni potrebbe ricordare il primo periodo dei Wilco: la collaborazione tra Jeff Tweedy e Jay Bennett (poi fuoriuscito dal gruppo e venuto a mancare qualche tempo fa), premiata ditta che regalò lavori come “Being There”, “Summerteeth” e il già citato “Yankee Hotel Foxtrot”. Ma il parallelismo finisce qui, perché i Lullaby For The Working Class di Ted Stevens e Mike Mogis sono lontani sia dall’alt. country-rock dei primi Wilco che dai Wilco più pop dei successivi lavori.

Le composizioni dei Lullaby sono tenere nenie rurali. Ballate malinconiche e pacate, arricchite talvolta da suoni ambientali (la pioggia e i cinguettii in “Untitled”; le onde del mare - in Nebraska? - e il motore di un aereo in “The Man vs. The Tide”). Liriche malinconiche e disilluse intonate dalla voce di Stevens, che appare come un punto d’incontro tra Jeff Mangum e Elliott Smith; liriche che però non arrivano mai a toccare i livelli di drammaticità di altri cantori dei nineties 'made in USA' (uno su tutti Mark Kozelek).

Una band sottovalutata e misconosciuta, ma la cui influenza sull'attuale scena alt-folk è indubbia: basti pensare a Bright Eyes, Okkervil River, Decemberists. Una parabola musicale che, seppur limitata ad un solo lustro, è stata capace di toccare apici con due splendidi dischi come “Blanket Warm” e “I Never Asked For Light”.

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