Survival Blog. Cronache da un altro mondo: 20 dicembre 2015

(Avviso ai naviganti: prima di iniziare a leggere questa pagina di diario, è bene andare a guardare qui, dove è spiegato ciò di cui si tratta)

20 dicembre 2015

Sono come bocche aperte, mute, zittite da una alterazione della realtà improvvisa.

I negozi di corso Prestinari. Li rivedo ora, dopo non so più quanti mesi, tutto il tempo che sono rimasto chiuso in casa. Perché finalmente sono uscito e ora li sto rivedendo, questi negozi, sono ancora qui, al loro posto, ma vuoti, per lo più saccheggiati, sventrati, come donne violate in una guerra qualsiasi, quando i vincitori passano e decidono che la loro razza è la migliore del mondo e devono perpetrarla ad ogni costo.

Ma questa non è una guerra, così come non è un'invasione straniera; i nemici non hanno una faccia diversa dalla mia, non hanno una divisa di un altro colore. Il nemico potrei essere io stesso se dovessi incontrare la persona sbagliata ed essere preso a morsi come un ossa da un cane.

Li rivedo e li riconosco, i negozi.

La panetteria di Lina, che per cinquant'anni ha sfornato pane profumato per tutti.

Il bar di Michele, dove sono cresciute generazioni di quindicenni in attesa del prossimo videogame da testare.

L'ufficio postale, che a inizio mese si riempiva di anziani, in fila ad aspettare di ricevere la pensione, con già in testa le spese urgenti da fare, i conti da saldare, e con il resto il fiore da portare sulla tomba di lui o di lei che se ne sono andati troppo presto.

È strano come non abbia mai pensato, mai fatto caso a queste cose prima, quando con passo veloce uscivo solo per raggiungere un posto, per sbrigare qualche commissione, quando la vita era normale. Adesso non ho una meta precisa; ora sono qui solo perché devo capire cosa è rimasto del mondo attorno a me e cosa mi resta da fare per sopravvivere.

Ho una sola urgenza: evitare gli infetti, scoprire dove sono, farmi una mappa della loro presenza per sfuggirli.
Prima, prima che la realtà che avevo sempre conosciuto cambiasse all'improvviso, subisse quest'alterazione violenta, prima che i nemici invadessero queste strade e ne facessero scempio (delle strade, dei negozi, degli uomini e delle donne), prima il mondo aveva un senso. O almeno cercavo di scoprirne uno; e anche se quello che trovavo non mi piaceva più di tanto, cercavo di farmelo andare bene, perché comunque non potevo cambiarlo a mio piacimento. O così almeno avevo sempre pensato.
Ora, invece, dovrò essere io a dare un senso a tutto.
Intanto continuo a camminare al centro della strada. Non c'è nessuno e l'aria frizzante col primo sole del mattino è padrona delle macchine abbandonate, rovesciate, ridotte a carcasse bruciate (probabilmente c'è stata una scaramuccia qui). La natura, invece, ha continuato a fare il suo corso e la neve venuta giù nei giorni scorsi riempie ancora le fioriere e le aiuole. Gli alberi hanno perso le foglie, ma dentro si stanno preparando alla nuova stagione, con l'orologio dello yin che scorre verso la pienezza dello yang. Chissà se anche l'umanità saprà superare il cardine d'equilibrio e ricominciare a costruire una realtà positiva. Ci vorrà una bella scossa (1). In qualche modo Ariano ha ragione, continuo a pensare. Eravamo “uomini razionali ridotti a zombie col cervello atrofizzato dalla televisione” . Non posso però concedergli che quest'invasione dell'animalità e dell'istinto nel mio mondo sia definitiva, integrale. Penso che sia una conclusione indebita. Vuol dire che la vera natura dell'uomo è “solo” quella di un animale che sfama i suoi istinti ed è felice così?
Non c'è vento, ma sento una porta sbattere da dentro il negozio che era stato l'edicola di Gino. È un rumore ritmico e ripetitivo e anche se so che non dovrei, mi avvicino.
Vedo che all'interno tutto è, naturalmente, sottosopra. Il gadget di una rivista per bambini, un orsetto in peluche protagonista di qualche cartone animato, è poggiato in bella mostra sul bancone, come fosse l'avatar di Gino, che lo sostituisce nella consegna di periodici e giornali.
Resto per un attimo immobile a fissare la scena surreale, dove un animale ha preso il posto di un uomo, così come sta avvenendo in quasi ogni parte del mondo, almeno per quel poco che si riesce a sapere dalla rete.
È pericoloso rimanere troppo tempo lì dentro, anche perché non ho esperienza di infetti per sapere come si comportano, se sono tanto intelligenti (o istintivi?) da tendere una trappola o se invece non si preoccupano di mostrarsi apertamente.
L'unica volta in cui ho incontrato un Giallo è stato con Laura, ma era presa dall'inseguimento di Luca (come a dire: a pasto già iniziato) quindi quell'occasione non fa testo.

Dalle notizie degli amici blogger ho letto che non sono molto furbi. Io però non voglio rischiare, perciò è meglio che vada, che esca dall'edicola. Mi blocco solo un attimo a guardare la data di una copia di Repubblica posata sul bancone: 15 gennaio 2015. È, probabilmente, l'ultimo giorno in cui il mondo ha vissuto una parvenza di normalità. Continuo a fissare quella prima pagina con una foto enorme di un Giallo che sul tetto di una Ferrari Testarossa fiammante banchetta con la mano di un uomo in giacca e cravatta, probabilmente ancora vivo; forse è il proprietario dell'auto perché ha una gamba ancora incastrata nel finestrino, come se fosse stato appena tirato fuori a forza.

Guardo e riguardo la foto e la mia mente costruisce scenari di piccole apocalissi nostrane, drammi di persone troppo deboli fisicamente per reagire alla forza bruta di quegli esseri a metà tra l'uomo e l'animale.

Mi viene in mente il verso di una canzone di quarant'anni fa: ma perché, perché io sono un uomo? Ma perché oltre al sangue caldo di un cavallo ho anche il peso di un cervello? Com’è che si intitolava? Non ricordo… Ma che importa ormai? Forse chi l'ha scritta voleva parlare del modo troppo freddo e razionale con cui spesso affrontiamo la realtà quotidiana, senza calore umano, empatia; di certo non poteva immaginare che a distanza di tanto tempo quelle parole potessero suonare quasi macabre.

Faccio per girarmi verso la porta e andare via, ma la mia curiosità mi spinge ad afferrare la copia del giornale per leggerlo con calma dopo. In quell'istante vedo con la coda dell'occhio che qualcosa salta fuori da dietro il bancone e mi viene addosso.

È finita, è il primo pensiero che ho, questa volta non ci posso fare niente. Non sono mai stato un tipo atletico, non ho mai frequentato una palestra, non … insomma non sono mai stato abituato allo scontro fisico, violento. È inutile cercare di reagire, è meglio lasciarsi andare al destino, tanto andrà come deve andare.

E invece è solo un maledetto gatto spuntato da chissà dove, che salta sul bancone e fugge via dalla porta.

La paura mi paralizza solo per qualche attimo, poi immediatamente riprendo conoscenza e balzo anch'io fuori dal negozio. Resto un momento a riprendere fiato e mi accorgo che ho in mano la copia del giornale; resto a guardare nuovamente la foto, senza un motivo preciso.

Ed è proprio ora che imparo la prima regola di questa nuova giungla che è diventato il mondo: mai abbassare la guardia.

Non faccio in tempo a sentire il rumore che qualcosa mi colpisce alla spalla e mi getta a terra. Mi giro sulla schiena e mi ritrovo una creatura che sta sopra di me e sta avvicinando la sua bocca verso il braccio che istintivamente ho messo tra me e lui.

Non so chi o cosa mi spinge, ma d'impulso infilo il giornale nella sua bocca e mi rotolo di fianco. L'infetto resta imbambolato, accusa il colpo. Io invece lo guardo e la paura, o forse l'odio verso di lui e tutto ciò che rappresenta tirano fuori da me un coraggio che non sapevo di avere. O forse è solo l’incoscienza. Alla mia destra c'è un piccolo segnale stradale, di quelli provvisori che mettono quando ci sono lavori in corso; lo sollevo con tutte e due le mani e comincio a calarlo con forza sulla sua testa, sul collo, sulle spalle. Forse è morto ma io continuo a dare colpi, non mi rendo conto neanche che potrebbe essere pericoloso se qualche schizzo di sangue dovesse lordarmi. Smetto solo quando non ho più forza nelle braccia e il segnale mi cade dalle mani. Mi lascio andare sul marciapiede a pochi passi da quella creatura che, prima di essere trasformato in un mostro da qualcun altro, era stato magari un medico o un insegnante, o qualcuno che aveva fatto del bene agli altri. E io, forse, l'ho ripagato così. Ma è la legge della giungla, di questa nuova giungla: mors tua vita mea. Non valgono più le leggi e le convenzioni di prima.

Sto ancora guardando l'infetto mentre mi alzo lentamente; guardo i vestiti, cerco di toccarmi nelle parti scoperte per assicurarmi che non ci sia sangue che potrebbe contagiarmi. Vedo a qualche metro di distanza una fontanina e prego dentro di me che dia ancora acqua, per potermi lavarmi. La raggiungo e giro il rubinetto e solo allora mi accorgo che ...

(nota 1): la scossa, o il tuono, l'eccitante è il primo trigramma della serie yang negli I Ching. Ha il senso di dare una mossa violenta alle cose per rimetterle in moto.


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