Survival Blog. Cronache da un altro mondo: 10 gennaio 2016

(Avviso ai naviganti: prima di iniziare a leggere questa pagina di diario, è bene andare a guardare qui, dove è spiegato ciò di cui si tratta)

10 GENNAIO 2016

Dranwall naturalmente non era in edicola, quella da cui avevo preso il giornale e dove poi mi ero scontrato con un Giallo. Il suo cadavere era ancora lì. Gli mancava un braccio, forse un cane o un altro infetto l’avevano portato via. Carlo ha camminato sempre perfettamente al centro della strada, come gli avevo detto e anche se non dava a vederlo cercava sempre di guardare dritto davanti a sé, evitando di mettere gli occhi sui morti che sorpassavamo. Quando io sono entrato nel negozio dei giornali, mi ha seguito come un cagnolino ed è rimasto a guardare la strada fuori dalla porta per evitare brutte esperienze. Questo l’ha deciso lui. Poi, quando gli ho detto, dopo aver fatto finta di cercare, che il suo mensile non c’era, si è voltato verso l’interno ha dato un’occhiata veloce e mi ha detto:

“Ok, andiamo. Torniamo la prossima volta.”

Poi mi ha guardato con aria dubbiosa e interrogativa:

“Posso prendere qualche giornalino?”

Così ha riempito una delle buste che avevamo portato per la spesa di fascicoli vari, colorati oltre ogni misura e dai titoli più improbabili. Quindi mi ha ripreso la mano e siamo usciti.

Il market che era la nostra meta non aveva molto da offrire, chissà da quanto tempo era stato saccheggiato alla grande. C’era solo ancora qualche scatoletta di verdure in umido e un paio di bustine di zucchero cadute da qualche confezione multipla.

“E ora dove andiamo?”

Carlo rimane un attimo incerto, poi mi risponde:

“Forse conosco io un posto. Se sai come fare ad entrare, l’ultima volta che l’ho visto era ancora chiuso. Perciò forse non sono arrivati lì a fare la spesa. È qui vicino.”

Mi fa strada per pochi metri, fino alla prima traversa a sinistra. Di fronte ad un vecchio cinema, chiuso già da molto prima che scoppiasse la pandemia, c’è un negozio di alimenti biologici. Dalla vetrina si vedono ancora i prodotti sugli scaffali. Il problema è riuscire ad entrare, perché le porte sono chiuse a chiave. I proprietari probabilmente avevano chiuso al mattino e non più aperto al pomeriggio, per questo le serrande erano ancora alzate. Non abbiamo incontrato finora infetti, forse anche a causa del freddo intenso che li fa rintanare in qualche posto meno aperto, ma c’è sempre il pericolo che, attratti dal fracasso che dovremmo fare per provare a spaccare le vetrine, spùntino fuori. Ad un certo punto mi accorgo anche che il vetro è antiscasso, per cui questa possibilità cade definitivamente. Lo dico a Carlo che ci rimane male, forse più perché io non sono riuscito a risolvere il problema che per il fatto che non siamo potuti entrare.

Bisognerà trovare un’altra soluzione.

Poi Carlo esclama:

“Aspetta, guarda qua!” indicando un disegno sul muro.

“Cos’è?” gli chiedo.

“Non conosci i disegni di Dranwall?”.

Non li conosco.

“È vero, tu non leggi Dranwall. Allora” inizia col tono di chi è a conoscenza di qualcosa di importante “tutti i suoi amici quando non si possono incontrare, parlano tra loro con i disegni sui muri. Vedi questo? Una casa vuol dire che c’è qualcuno, un amico, che abita nelle vicinanze. Il piede verso sinistra vuol dire che bisogna andare da quella parte.”

Sta per incamminarsi, ma lo fermo.

“Non è meglio che per oggi facciamo la spesa e torniamo a casa e poi domani veniamo qua apposta per cercare questa persona?”

Mi guarda per qualche secondo, poi si gira verso sinistra e guarda la strada vuota.

“Va bene” dice alla fine. “Però dobbiamo cercare un posto dove andare per la spesa” il suo tono è quasi di rimprovero verso di me. “Da queste parti non mi sembra ci sia rimasto molto.”

Giriamo ancora un po’ e alla fine riusciamo a terminare la lista della spesa saccheggiando un po’ qua e un po’ là. Vedo ancora qualcosa che potrebbe servire a casa, ma per oggi siamo abbastanza carichi. È vero che Carlo ha i suoi fumetti, ma non glieli voglio far lasciare. Possiamo tornare domani a prendere il resto.

Cerco di rifare tutte le strade larghe, dove è più facile vedere se c’è qualcuno in agguato.

Per qualche strano fenomeno sono quasi contento; in fondo oggi abbiamo da mangiare, Carlo ha i suoi giornaletti e io ho preso in edicola un vecchio numero di Urania con una raccolta di racconti di Robert Silverberg che non ho mai letto: ‘Violare il cielo’. Ci vuole così poco per essere felici?

Arriviamo davanti al cancello che si apre sul giardino su cui affaccia la mia casa. Prima che cominciasse l’apocalisse il cancello restava sempre aperto, perché a qualche deficiente andava bene così, era più comodo.

Adesso invece è chiuso e devo prendere la chiave in tasca.
Forse questo contrattempo ci ha salvati.
“Guarda Theo!”
“Cosa?”
“Là, sopra il balcone! Non è casa tua quella?”
Poggio le buste a terra e guardo verso il mio terzo piano. Il balcone è pieno di uomini e donne, una decina, che fanno dentro e fuori casa; forse è l’odore di abitato, di carne calda, di normalità.
Rimango bloccato. Come hanno fatto ad entrare? Da dove vengono?
Solo un uomo che ci ha visto e indica verso di noi mi risveglia dal torpore della sorpresa e della paura.
È un attimo. Tutti gli altri infetti corrono dentro urlando. Di sicuro stanno arrivando.
“Scappiamo Carlo! Lascia tutto e scappiamo, quegli uomini ci vogliono fare del male!”
“E la spesa? La lasciamo qui?”
“Lascia stare la spesa, poi se ne parla!”
Lo prendo per mano e comincio a scappare. Carlo non vuole mollare la busta con i giornaletti che gli batte contro la gamba mentre corre.
“Lascia stare i fumetti, non possiamo scappare se abbiamo pesi!” gli urlo mentre corriamo alla cieca. “Poi torniamo a prenderli” gli dico per rassicurarlo.
Carlo lascia la busta, avendo però cura di gettarla sotto un’auto. Si volta un attimo a guardarla.
Anch’io mi giro a guardare. Ma la casa. Lì non possiamo più tornare.
Adesso comincia davvero per noi l’apocalisse.
Adesso devo davvero imparare a sopravvivere.


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