“Cosa si prova ad essere Rachmaninov?”

Che piacevole/spiacevole scoperta ho fatto oggi..

Mi sono accorto che, anche se appartengo a questo sito ormai da ben sedici anni non ho mai avuto modo di parlare, fra tutte le cose interessanti da trattare, approfonditamente di quello che è, nel campo “classico” della musica, assolutamente il mio più grande amore: Sergej Vasil'evic Rachmaninov (ecco, ho fatto outing..).

E qui, di cosa si dovrebbe parlare soprattutto, almeno delle intenzioni originali dei padri fondatori?

In compenso alcuni di quelli, debaseriani storici, che hanno avuto invece modo di leggere le mie cose nel corso degli anni, si saranno convinti che sono appassionato, oltre che di musica, anche di scienza, di fisica e non solo, “estrema”, quella “ai confini della realtà”, figlia illegittima della filosofia.

Per anni, e ogni tanto lo faccio ancora, ho acquistato centinaia di libri, oltre che su buchi neri, Big Bang e Big Crunch, su meccanica quantistica, relatività ristretta e generale, libri di novecento pagina con nomi altisonanti (un esempio? “La strada che porta alla realtà” del grandissimo Roger Penrose) e cose simili.

Ed anche libri di matematica “estrema”, come “Alla ricerca di omega” del grande Gregory Chaitin (di cui ho già parlato, indirettamente, in un editoriale).

E molti libri di scienze cognitive estreme come “Il tunnel dell’io” e “Anelli nell’Io” rispettivamente dei grandi Thomas Metzinger e Douglas Hofstadter (del primo qualcuno dirà: "Chi è costui??", del secondo ho già parlato in una recensione).

E tanto e tanto altro, tutti libri che mi sento di consigliare (e così mi sono levato davanti almeno una altra trentina di recensioni..)

Obiettivo: La “modesta” pretesa di riuscire a capire qualcosa di più sulla Natura finale della realtà, dell'universo e della coscienza in particolare.

Da tutte queste letture cosa ne è emerso?

Molto e nulla, più che altro una visione del reale forse un po’ idealista (in termine filosofico), spesso nostalgica del tempo in cui credevo senza farmi troppe domande, e, nel caso peggiore, un po’ nichilista.

Un misto fra il protagonista di “Vita di Pi” (lui in verità provava prima tutte le religioni) e tutte insieme “Do You Realize”, “When you smile” o “What Is The Light? (An Untested Hypothesis Suggesting That the Chemical [In Our Brains] by Which We Are Able to Experience the Sensation of Being in Love Is the Same Chemical That Caused the “Big Bang” That Was the Birth of the Accelerating Universe)” dei The Flaming Lips...

Ed ora, nei primi giorni dell’AD 2020, eccomi nuovamente ad ascoltare il secondo concerto per pianoforte e orchestra del mio amato compositore russo, con in testa un titolo per questo editoriale ispirato al saggio di Thomas Nagel (“Cosa si prova ad essere un pipistrello”), filosofo cognitivista, saggio del 1974 che aveva l’obiettivo di far capire che la coscienza (quella oltre il “fossato galileiano”), non è un fenomeno riducibile ad una analisi oggettiva da parte della scienza.

Per sapere cosa prova quella persona, i suoi sentimenti più profondi, le sue emozioni, le sue speranze, i suoi dolori, bisogna essere quella persona (o quel pipistrello), non c’è altro modo.

Sergej Rachmaninov compose il suo secondo concerto per pianoforte e orchestra nel 1901, al termine di quattro anni di profonda depressione seguita alla bocciatura della sua prima sinfonia. Riuscì a uscirne solo grazie alle sedute psicanalitiche di Nikolai Vladimirovich Dahl, un neurologo e psichiatra russo, suo medico e amico personale, a cui poi dedicherà proprio il secondo concerto.

Nella vita, se si è fortunati, si riescono a provare solitamente tante emozioni, gioia, felicità, stupore, speranza, rabbia, delusione, senso di impotenza, voglia di ricominciare, ma mai tutte insieme...

Il secondo concerto per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov è meno conosciuto dal pubblico del famoso Rach 3 (qui recensito molto bene) celebrato dal film “Shine”, ma è un universo di emozioni in tumulto come poca musica è in grado di essere.

La parte che inizia poco dopo il sesto minuto del primo movimento e dura circa un minuto è una meravigliosa sequenza di scale ascendenti melodico-armoniche, un dialogo pianoforte-orchestra crescente in intensità in puro stile Rachmaninov che rappresenta, per me, una fuga verso il cielo e un urlo di liberazione di un’anima dalla prigione delle proprie ansie, delle proprie angosce, e delle proprie insicurezze.

Ed ora la sto riascoltando, e sono il compositore alla fine di quei quattro anni, e penso che forse Nagel non ha del tutto ragione (e questo è meraviglioso), o non ha mai ascoltato Rachmaninov.


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