Persone che non dimenticherò mai
Ho girato due volte la Sicilia in motocicletta. La prima volta, anzi, per la verità l'ho girata su una vecchia vespa arcobaleno di colore grigio (sembra quasi un gioco di parole) che praticamente, una volta ritornato a Napoli, ho dovuto solo buttare. L'avevo fatta camminare troppo. Troppi chilometri e troppi incidenti. Quella estate tra l'altro il mio (ex) meccanico di fiducia, diciamo così, attentò praticamente alla mia vita. Prima di partire, infatti, gli lasciai la vespa per un check-up totale, una buona prassi che si rispetti prima di intraprendere un viaggio. Questi me la riconsegnò secondo lui perfettamente integra. Fatto sta che in verità egli non svolse nessun controllo particolare e dopo due-tre giorni di viaggio, sulla strada provinciale che in direzione nord/nord-est da Agrigento porta a Racalmuto, il paese dove è nato e vissuto Leonardo Sciascia, la ruota posteriore si staccò letteralmente dalla matrice (il cosiddetto 'mozzo') lasciandomi praticamente fermo. Rimasi completamente immobile e fermo in mezzo alla strada seduto a bordo della vespa cui era rimasta solo la ruota anteriore.
Allora credo di essere stato fortunato: non c'erano macchine che sopraggiungevano alle mie spalle; per una pura combinazione di natura fisica inoltre la vespa si fermò completamente immobile e ben piantata a terra, nonostante io stessi peraltro compiendo il tracciato di una curva. Quindi non sono neppure caduto.
Tutto il resto fu altrettanto fortunato. Perché ero su una strada provinciale completamente deserta e era domenica e batteva forte il sole perché era estate, era fine giugno e fine giugno significa comunque praticamente estate, ma davanti a me vi erano due volontari della protezione civile che per qualche ragione (una deviazione di una delle varie diramazioni della strada provinciale) erano posizionati strategicamente sul posto e che dopo avermi soccorso, chiamarono un loro conoscente, mi pare di Favara, un certo signor Bruno Spatola, che venne sul posto e riparò la vespa montando la ruota sul mozzo con del fil di ferro tagliato con le cesoie da una recintazione del maneggio adiacente la strada.
Una soluzione che definirei artigianale, ma altrettanto brillante e che mi permise di portare a termine il mio viaggio.
Quella giornata guidai su fine a Enna e Caltanissetta e poi giù giù fino a Gela e quindi rientrai all'interno e terminai la mia giornata in quella città bellissima e unica al mondo che poi sarebbe Ragusa con il tramonto che mi sbatteva sulla faccia mentre percorrevo gli ultimi chilometri.
Quando sono tornato a Napoli ho cambiato meccanico.
Mentre relativamente il signor Spatola, va detto che questi non era un meccanico, ma semplicemente un grande cultore della vespa come mezzo di locomozione. Cosa che chiaramente fece sorgere in lui un affetto e una simpatia particolare nei miei confronti, rafforzata dal racconto del viaggio di nozze dei miei genitori nella ex Jugoslavia nel 1980 a bordo di una vespa Sprint blu che orgogliosamente possediamo ancora e custodiamo giustamente come un bene di famiglia: come se fosse qualche cosa di importante. Semplicemente perché lo è. Dopo aver sistemato la vespa il signor Bruno Spatola non volle nulla per il disturbo: era venuto fin lì da Favara (quel giorno casualmente da quelle parti c'era anche un moto-raduno) una domenica mattina di estate, ma non volle nulla per il disturbo. Anzi embrava felice di avermi aiutato e in effetti lo era. E anche io sono stato felice di averlo incontrato. Non perché mi abbia riparato la vespa. Questo è importante, ma alla fine è secondario. Sono stato felice di averlo incontrato perché era una brava persona.
Questo credo sia successo sei oppure sette anni fa.
Era l'estate del 2011.
Il giorno prima, mentre guidavo da Marsala ad Agrigento, allargandomi volutamente per i percorsi 'paesaggistici' costieri, passai per Mazara del Vallo, uno dei porti commerciali principali della regione e da dove partono i traghetti per la Tunisia. Più precisamente per quella città che si chiama Hammamet e che costituisce ancora oggi meta di pellegrinaggio, giuro, delle figure più eminenti, diciamo così, che gravitavano e grativano attorno l'orbita di quello che una volta si chiamava PSI.
Era il 2011 comunque. Me lo ricordo bene anche perché in quel periodo secondo quello che ci raccontavano i mass media, tutto stava cambiando in Nord Africa. Io invece avevo cominciato a stare male e da allora questo processo non si è mai arrestato aggravandosi di anno in anno e volevo andare via, scappare, cambiare nazione, sparire e non tornare mai più a casa.
Qualche mese dopo ci provai a scappare. In Germania. Berlino. Riparai lì un gelido inverno prima di ritornare a casa dopo avere visto l'Hertha pareggiare 1-1 in casa con il Wolfsburg sotto una tempesta di neve. Sulla panchina dell'Hertha sedeva Otto Rehhagel, l'allenatore che nel 2004 aveva fatto vincere i Campionati Europei di Calcio alla Grecia. Un tedesco che fa vincere la Grecia. Ma questo succedeva nel 2004 e nel 2004 secondo quello che ci raccontavano i mass media, tutto stava cambiando in Grecia e così ...
Comunque la notte dopo la passai con Chiara: fu la nostra ultima notte. Vomitai ininterrottamente il sushi che aveva cucinato. Non l'ho mai più rivista. Non ho mai più mangiato giapponese. Senza di lei la cosa non avrebbe avuto più senso. Non ha nessun senso. A volte le donne pensano che tu faccia qualche cosa che di solito non fai, solo per loro oppure con loro e per farle un piacere oppure una concessione e questa cosa a loro non piace perché sembra quasi che tu faccia qualche cosa perché dopo ti aspetti qualche cosa in cambia. Per quanto mi riguarda non è così: tutto quello che faccio, seppure non rientri nella mia quotidianità abituale, lo faccio proprio perché ritengo abbia un senso farle assieme e in quel determinato momento specifico. Oppure come una specie di rituale. Perché no.
Del resto se dovessi fare comunque sempre le stesse cose che faccio da solo, che ci sto a fare con una ragazza.
A fine campionato l'Hertha Berlino retrocesse meritatamente in Serie B.
Mazara del Vallo invece credo sia una realtà difficile: voglio dire che è apparentemente un posto difficile dove vivere. È unitamente a Gela, forse Porto Empedocle, Augusta e sicuramente dei posto sperduti là tra le montagne nel cuore della regione, il posto che più tra tutti nella regione mi ha trasmesso una certa 'durezza'. Ma posso sbagliare e comunque questa non vuole certo essere una critica ai suoi abitanti. Va detto infatti che ovunque in Sicilia (ci sono stato più volte e praticamente dappertutto) ho sempre e solo trovato gente cordiale e accogliente. Ma come dicevo prima: forse sono stato fortunato.
Comunque quando mi sono trovato davanti al porto e al punto di imbarco delle navi, ho fermato la vespa, sono sceso, l'ho messa sul cavalletto e mi sono tolto il casco.
Eravamo io e il mare. Tutto quello che mi divideva da un altro continente e da un'altra vita: dalla fine di tutto quello che aveva riguardato la mia vita di merda fino a quel momento. Solo una nave che avrebbe percorso in poche ore il Mare Mediterraneo da una parte all'altra e mi avrebbe praticamente traghettato da una esistenza a un'altra.
Non avrei mai informato nessuno della mia scelta e una volta dall'altra parte, chi lo sa, mi sarei subito messo in moto per far perdere le mie tracce. Sarei andato avanti per un po'. Avrei continuato a guidare finché avrei potuto. Poi non lo so. Magari mi sarei fermato da qualche parte. A un certo punto avrei sicuramente finito i soldi. Ma pensai che a quello mi sarei preoccupato solo dopo. Del resto che importava. Per quanto mi riguarda una volta lì avrei pure potuto decidere di farla finita del tutto. Materializzai l'idea che a quel punto, quando sarei stato dall'altra parte, avrei potuto farlo veramente: perché sarei stato solo e quando sarei stato solo, veramente solo, sarei stato libero di vivere la mia vita ma anche libero di morire se lo avessi deciso. Se fosse succeso. Come se restare significasse in qualche maniera che tanto vivere quanto morire fosse impossibile.
Voglio dire, alla fine non dovevo per forza ricominciare da zero se non me la sentivo. Però quando sarei stato dall'altra parte, sarei stato finalmente veramente solo e in questo modo libero.
Non lo so quanto tempo sono rimasto lì fermo. Forse sono stati solo cinque minuti: cinque minuti, dieci, quindici. Ho fumato una sigaretta e ho pensato e ho visto tutte queste cose. Ma ho anche visto mia madre che piangeva per la mia scomparsa e ho visto mio padre, che avrebbe pensato che fosse stata colpa sua e che non avrebbe mai potuto curarla dalla sofferenza che le avrei arrecato; ho pensato che i miei fratelli avrebbero praticamente perso anche loro una famiglia a questo punto e sarebbe stato tutto per colpa mia. Ho pensato anche che per tutte queste ragioni da questa vita non potevo e non sarei mai potuto scappare allora come in futuro se non in una maniera così estrema, radicale. Senza compromessi. O bianco o nero. Come dice mia madre. Non conosco le gradazioni di colore infinite che passano da un estremo all'altro.
Sono testardo oppure forse mi piace semplicemente essere così.
Così non ho scelto oppure, meglio, ho fatto quello che dovevo fare e che però non so se fosse quello che volevo veramente fare: mi sono infilato nuovamente il casco, ho rimesso in moto la vespa e mi sono lasciato l'Africa alle spalle oppure - meglio - sulla destra, mentre continuavo la mia strada senza nessuna meta particolare. La sera arrivai ad Agrigento, ma la Valle dei Templi aveva già chiuso. Mangiai ottimamente a un piccolo ristorante all'aperto in una piazzetta nascosta alle spalle della strada principale della città vecchia.
Il giorno dopo mi rimisi in viaggio e quella giornata incontrai Bruno Spatola, una persona che non dimenticherò mai.
Foto: la mappa del mondo ricostruita secondo Eratostene di Cirene, terzo bibliotecario di Alessandria, 200 a.c.