Mammoth WVH. La prima volta che ho letto questo nome ho creduto di essermi imbattuto nell’uscita del nuovo multivan della Volkswagen. Invece si trattava di qualcosa di tanto impronunciabile quanto interessante. Ma andiamo per gradi.
Wolfgang Van Halen (l’acronimo ci dice questo) altri non è che l’adorato figlio d’arte del compianto Eddie Van Halen, prematuramente scomparso nell’ottobre del 2020 a causa di una brutta malattia.
“Mammoth” altri non è che il nome della prima band di Eddie Van Halen (poi divenuta “Van Halen”). Si dice che il piccolo Wolfgang, detto Wolfie, adorasse a tal punto lo pseudonimo che fu idea di papà, da averlo tenuto da parte per tutta l’infanzia, nella speranza di poterlo fare suo in un prossimo futuro.
Detto, fatto. Il progetto nasce come solista quando Wolfgang faceva ancora parte dei Van Halen e prima del loro scioglimento. Papà Eddie aveva intuito da tempo che nel giovane figlio si annidasse parecchio talento, tanto da volerlo nella band come bassista già dalla tenera età di sedici anni.
Oggi Wolfgang è un talentuoso polistrumentista (basso, batteria, chitarra, pianoforte), che ha realizzato e registrato un disco tutto da solo, a mero titolo di sfida con se stesso, ispirandosi dichiaratamente a quello che aveva già fatto Dave Grohl prima di lui. A questo punto sono due i motivi che hanno spinto il giovane Van Halen a formare una band: il desiderio di utilizzare l’adorato vecchio pseudonimo tenuto nella scatola dei desideri per anni e l’oggettiva impossibilità di performare dal vivo con soltanto due mani a disposizione. La formazione dei Mammoth WVH vede quindi tra le sue fila, oltre al giovane fondatore, Frank Sidoris e Jon Jourdan alla chitarra, Ronnie Ficarro al basso e Garrett Whitlock (dei Tremonti) alla batteria.
La composizione del self-titled album è iniziata nel 2015 ed è terminata nel 2017 ma la pubblicazione è rimasta in sospeso per anni. La malattia di Eddie Van Halen era in fase avanzata e Wolfgang aveva deciso di sottrarre tempo alla musica per dedicarlo (giustamente) al padre.
Il primo singolo “Distance” uscirà il 16 novembre 2020, a un mese dalla morte di Eddie (è a lui dedicato). Il disco invece finirà sugli scaffali l’11 giugno 2021, a quattro mesi dall’annuncio della sua uscita.
Il sound delle 14 tracce (17 per la Deluxe Edition recentemente pubblicata) è per buona parte influenzato dalla precedente collaborazione con la band di Mark Tremonti. Wolfgang ne ha fatto parte come bassista, sostituendo Brian Marshall (Alter Bridge) tra il 2012 (un anno solo per i live) e il 2016 e con loro ha realizzato due album (Cauterize e Dust). Per chi è amante dei Tremonti come me, questa peculiarità è particolarmente evidente e fa sì che l’album suoni in modo più maturo, tecnico ed innovativo.
La prima traccia “Mr.Ed” potrebbe sembrare da subito un immediato riferimento a papà Eddie, cosa che è stata subito smentita da Wolfgang durante un’intervista promozionale. Il cantato inizia a raccontare quanto sia difficile arrivare a destinazione partendo dai propri obiettivi. Abbiamo un primo assaggio di tecnica con i riff in apertura, il tutto però abbastanza in sordina, con il senno di poi e rispetto a quello che sentiremo più avanti.
“Horribly Right” e “Epiphany” scaldano il plettro e scuotono le corde, facendo crescere l’interesse.
“Don’t back down” ci spinge verso l’headbanging e non ci possiamo esimere, il titolo è eloquente. La canzone è accompagnata da un video (linkato in fondo), nel quale vediamo il polistrumentista Wolfgang esibirsi in sala prove, affidando gli strumenti ai suoi tre gemelli monocoriali (o mono corali?) e un po’ comici.
La vocalità molto melodica spicca in “Resolve”, “You’ll Be The One” e nella title track “Mammoth”. Come riportato anche dalla critica, ogni pezzo ha peculiarità differenti a livello di composizione ma il filo conduttore nei testi è la riflessione sulla vita e sui recenti fatti che hanno colpito quella dell’autore.
“Circles” amplia il discorso tramite una ballata malinconica ed emozionante. Si parla della perdita di un amico e ci si chiede se si è fatto abbastanza per lui durante il tempo trascorso insieme. Nell’attesa di incontrarsi di nuovo.
“The Big Picture” si sobbarca uno strascico di malinconia, provando però ad alleggerirla con il rock comunque farcito di cinismo:
“That’s enough
You just might start a war today
That's enough
Don't go and throw it away”
“Think It Over” è ritrovato ottimismo e a mio avviso tra gli episodi più emozionanti del disco. “You’re To Blame” e “Feel” hanno un ritmo forsennato e sono come una sassata, che porta non a caso alla penultima traccia, “Stone”. Il titolo comunque trae in inganno, perché troviamo un pezzo bradicardico e sincopato, che offre a metà un pregevole assolo di Wolfgang in collaborazione con Frank Sidoris.
L’album si chiude con “Distance”, primo singolo estratto e canzone strappalacrime. Scritta tempo fa come riflessione sull’inevitabile, è una dedica sentita al padre Eddie, un ringraziamento per tutto ciò che c’è stato e per l’eredità consegnata. Lasciato in modo intelligente alla fine della prima pubblicazione, il pezzo è stato a mio avviso un po’ “inquinato” nella Deluxe Edition (si sarebbe dovuto valutare un Ep a parte) dalla lunga coda dei tre pezzi aggiuntivi “Talk&Walk”, “As Long As You’re Not You” e la closing song “Goodbye”. Trattasi di episodi adrenalinici e un po’ distaccati dal discorso delle “vecchie” tracce ma servono a dimostrare quanto ancora il nostro Wolfgang sia cresciuto in consapevolezza e talento.
Avevo voglia di parlare di questo primo lavoro dei Mammoth WVH, perché credo meriti di essere considerato come l’inizio del percorso di quello che è già un valido artista. Al di là del nome scritto sul documento, qui celato a regola d’arte dietro un misterioso acronimo tutto da scoprire.
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