Quanto mi fa incazzare che su DeBaser non ce ne sia ancora una, dico una (!), dedicata a loro...

...quanto mi fa piacere che su DeBaser non ce ne sia manco una dedicata a loro, perché me la accaparro io (se non dispiace a nessuno).

Sinceramente, ormai 'sto Giappone mi aveva annoiato, avevo da tempo una voglia matta di tornare in Occidente, dopo la folle corsa nel deserto di qualche tempo fa (sulle orme di Brant Bjork), dopo citazioni a iosa tanto per- di chicche à la Mad River per atteggiarmi a conoscitore della scena californiana (quale sono, modestamente...), dopo "meraviglie chitarristiche" capaci di evocare, anche solo per poco, i fulgori di quella "Eastern Light" (ih ih ih) che tutti i cultori di qugli anni hanno ascoltato e riascoltato. Non che in Giappone non tornerò, sia ben chiaro, ma per una volta si cambia zona...

...e allora si, era venuto il momento di omaggiare, in qualche modo, i padrini della psichedelia gallese, i "Quicksilver di Gran Bretagna", i campioni della jam session (meglio) contaminata col Prog anglico, i cuginetti riconosciuti di John Cipollina e Gary Duncan: i Man, in assoluto uno dei gruppi più difficili da reperire on-line, e non credo serva spiegare il perché... Loro, che Cipollina lo invitarono pure, dalle loro parti: a suonare, fra le altre, quella "Babe I'm Gonna Leave You" che era la stessa di Page & Plant, solo che suonava molto, molto diversa, con quelle chitarre tanto acide da sembrare californiane vere, con quelle inflessioni e quegli accenti che non era così consueto ascoltare oltremanica... Loro, che al proprio debutto nel '69 avevano fatto scandalo con quel "Revelation" che - facilmente intuibile dal titolo - si presentava come una casereccia parvenza di concept a sfondo religioso e invece... invece andavi ad ascoltare e, fra il rumore della musica e dei solchi, ci trovavi tanto underground e - soprattutto - quei libidinosi minuti di "Erotica" interamante occupati da un orgasmo femminile, roba che a confronto "Whole Lotta Love" era musica da oratorio (e dei due orgasmi, vi lascio intendere quale abbia preferito... Orsù, metteteli pure a confronto). Poi tre dischi di spessore, dopo cotanta opera prima, e l'interminabile "pseudo-suite" di "Alchemist" a occupare buona parte dell'omonimo "Man", tuttora merce rara (rarissima?) per i collezionisti. E già tanti cambi di formazione, a rendere la vicenda del gruppo a dir poco caotica, almeno per i biografi: tanto che al momento dell'uscita di "Padget Rooms" (un live, quello che ancora mancava) erano già entrati, al fianco del leader e fondatore Micky Jones, l'ex-Love Sculpture Terry Williams (alla batteria) e Martin Ace al basso. Due le chitarre, invero, perché c'è anche Deke Leonard a completare il quartetto...

...un quartetto che proprio dal vivo faceva faville; quando i loro fans si radunavano da tutto il Galles e accorrevano a vederli al Patti Pavillion di Swansea (tempio del Rock del dragone), quando volentieri ospitavano tra le proprie fila il grande Dave Edmunds, che se passava da quelle parti non rinunciava a unirsi a loro; quando dividevano la scena con Flying Aces, Plum Crazy, Help Yourself, Ducks Deluxe, oscure sotterranee formazioni gallesi di cui più nulla si sa. Di queste registrazioni, tratte da un concerto dell'8 aprile 1972, c'è poco da dire: uno dei più grandi (noché misconosciuti) live degli anni '70, secondo i cultori della band addirittura la loro più grande esibizione, manifesto ideale di un gruppo in stato di grazia; tre pezzi, una lunghissima jam ("H. Samuel") su tutto il secondo lato, psichedelia e improvvisazione ai vertici massimi. "Quicksilver di Gran Bretagna"...? D'accordo, mi sta bene; ma c'è la componente progressiva che non va sottovalutata. I Man, che in "Back Into The Future" del '73 si faranno accompagnare da un coro sinfonico alla maniera dei Floyd di "Atom Heart Mother", hanno un suono caratteristico e inconfondibile: le loro improvvisazioni sono per lo più monotonali, e imperniate su ostinati ritmici ossessivi e alienanti, sovente su tempi dispari, molto complicati da seguire al primo ascolto; dopo la "canzone" vera e propria, che in genere non dura più di 2/3 minuti, partono per incamminarsi sulle strade impervie di assoli durissimi e martellanti, liberi, anarchici, molto Hard nell'impatto timbrico. "Daughter Of The Fireplace", la seconda traccia, potrebbe essere un pezzo dei Deep Purple, per come sa giocare con certi stilemi Hard-Blues; ma sono le chitarre di Jones e Leonard (oltre alla voce stridula, acutissima di Micky) a renderlo - inconfondibilmente - un prodotto dei Man. Pensate a "Phoenix" dei Wishbone Ash, pensate a ciò che diventava quel pezzo quando lo eseguivano dal vivo, all'inventiva sconfinata di quelle chitarre: è la prima cosa che mi è venuta in mente quando ascoltavo questo disco. "A stoner Rock-Jazz fusion hybrid", vi cito testualmente la frase di un critico che rende non poco l'idea...

Per chi volesse ascoltarsi l'intero concerto, ci sarebbe pure la ristampa del 2007 che aggiunge altri tre pezzi... A voi. E buon ascolto.   

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