Trasporre dignitosamente il contenuto di un'opera letteraria in un lungometraggio destinato a sale e apparecchi televisivi è decisamente un lavoro sporco, specie se il film deve ricalcare grandi classici, pagine intramontabili e poemi immortali. Le svariate fabbriche simil e pseudo Hollywood peraltro tendono sempre più a compiere la delicatissima metamorfosi carta-pellicola, tuttavia risulta modesta la preoccupazione nel rispettare fedelmente trame, concept, luoghi, ambientazioni, ritratti, vicende senza crollare nel baratro dell'anacronismo, dell'errore o della banalizzazione. Eppure, davanti allo schermo (grande o piccolo), spaparanzato su divanetti, poltroncine o sofà reclinabili e mani nei sacchetti di popcorn e schifezzuole varie, lo spettatore medio ingoia, mastica e digerisce di gusto filmetti culturali magari pieni zeppi di inesattezze e refusi, comunque ricchi di effetti speciali, sdolcinatezze da quattro soldi così tanto di moda, violenza a go-go e armi (giocattolo).

La produzione di Bukowski è annoverabile fra i curriculum letterari che meglio si prestano a inflazionamenti, misinterpretazioni e affievolimenti variegati. Le opere del celebre "vecchio sporcaccione", impregnate nel trittico sesso-alcool-poesia, radicate nell'anticonformismo più efferato e annaffiate con una dose di cinismo/nichilismo degna di zio Nieztsche, possono far gola sia agli amanti del noir pornografico-libidinoso-erotico di bassa caratura, ma anche a coloro che sognano un possibile ridimensionamento in chiave drammatico-teatrale-romantica dell'autore e della sua avventura con carta e penna. Entrambe interpretazioni riduttive e irrispettose dell'ineccepibile genio bukowskiano.

Storie di Ordinaria Follia, di Marco Ferreri, è - a mio dire - un maldestro e piuttosto debole tentativo di rendere filmiche la vita e gli scritti di Charles. Esplicitamente ispirato all'omonima serie di racconti che, assieme al Taccuino, circoscrive la summa della filosofia e del pensiero dell' "ubriacone", il lungometraggio cerca di condensare in novanta minuti (e poco più quello) che Bukowski è stato e quello che ha scritto: l'esistenza da reietto nelle assolate strade di Los Angeles, gli sporadici trasferimenti verso protettori e amanti del suo estro poetico - presto esausti dalla sua incontinenza nei confronti del vino e dell birra, i bollenti amorazzi e gli squallidi abbeveratoi, il tutto accompagnato dal continuo ticchettio melodico della macchina da scrivere.

Assodate l'estrema lunghezza (non solo contenutistica) della raccolta e, dunque, l'impossibilità di tradurre in scene l'esatto palcoscenico dell' "ordinaria follia" (e delle "ordinarie follie"), Ferreri si è accontentato di narrare un modesto spezzone della vita e del pensiero del protagonista, peraltro cadendo inesorabilmente nell'abisso della banalizzazione e della teatralizzazione della leggenda bukowskiana. Charles Serking è l'alter ego occasionale del vero Charles, e come tale tende a ricalcarne le caratteristiche salienti: sfaccendato, disadattato, povero, solo, ubriacone e sociopatico, tratti che tuttavia lo hanno reso un apprezzato forgiatore di versi. A spasso verso la Città degli Angeli Caduti, Serking corteggia prima Vera, mangiauomini opportunista e traditrice, e successivamente Cass, prostituta autolesionista con la quale instaura un forte legame sessuale-romantico. Lasciata l'amante sulle calde colline hollywoodiane, Charles si sposta a New York, convinto da alcuni suoi aficionados a trasformarsi in un poeta a tempo pieno. L'impiego dura comunque poco e lo scrittore riabbraccia Los Angeles, ma non Cass che si è tolta la vita; in preda al dolore più assoluto, persa la "ragazza più bella della città", Serking crolla nella sbronza più totale e viene soccorso da un'ultima giovane donna.

Per un fresco lettore delle Storie, il film "ispirato" delude abbondantemente le aspettative. Tralasciando l'estremo ridimensionamento dell'opera di Bukowski (ridimensionamento comunque inevitabile, data la mole di racconti inclusi nel volume), l'alter ego non soddisfa assolutamente l'autore-protagonista, riducendolo ad un blando poetucolo dal bicchiere facile calato in un dramma amoroso, sdolcinato e commovente. Manca la verve del vero Charles, la dialettica nichilismo-cinismo - architrave irrinunciabile dell'intero complesso letterario, è assente quell'alone di sporcizia esteriore e interiore che nel film si riduce ad un appartamento sciatto e a pareti incrostate. Il Bukowski di Ferreri non raggiunge nemmeno lontanamente le vette del collega in carne ed ossa e, sebbene il regista azzecchi almeno il background sociale della vicenda, non riesce a conferire al protagonista la carica espressiva e "dinamica" gustabile nelle pagine del capolavoro. Il beone che fa dell'alcool l'essenza vitale della propria anima è calato nei panni di uno che sembra bere per dimenticare un amore perduto, come un qualsiasi umanoide; il vino, l'autentico inchiostro sulla carta del Taccuino, l'ossigeno numero 2, sembra diventare un blando palliativo, uno strumento, un farmaco qualsiasi. I versi del reale protagonista, portatori di una rivoluzione psicologica nella letteratura, si ammuffiscono appena messi nelle mani di Serking, canterino come qualunque altro sulla faccia della terra.

Oscura, complessa, recondita, enigmatica, reazionaria: la poetica di Bukowski non si riduce certamente ad una interpretazione lassiva e sommaria, ma neanche si assottiglia ad un unica, universale comprensione manualistica. Comprensioni molteplici, eppure suscettibili di altrettante profonde riflessioni sull'uomo e sulla coerenza fra la sua scelta di vita e il modo con cui la "canta". Ebbene, il lavoro di Ferreri, anche se visivamente curato e apprezzabile, stenta a rappresentare l'autore dell'anticonvenzionalismo, dell'alienazione dal banale e del marciume lirico.

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