Preceduto da un'attesa interminabile e spasmodica alimentata da trailer infinitamente evocativi e spettacolari, è infine uscito nelle sale cinematografiche italiane il 5 settembre Ribelle - The Brave, il tredicesimo film dei laboratori d'animazione statunitensi Pixar. Per chi scrive, si è trattato di un evento lungamente, lungamente atteso data la cieca fiducia riposta nello studio; le stupende immagini che pian piano, tatticamente stillavano dalla California non hanno fatto che aumentare l'hype generale per quello che si prospettava come il trionfo definitivo dello studio. Il primo teaser ha spinto alle lacrime ben più di un fan: un mondo di infinita suggestione in cui un'eroina combatte il male incarnato, diomio che cosa deve essere. Poi ecco arrivare il trailer definitivo con qualche dettaglio in più: dei clan che si sfidano, il peso di una corona, la rottura delle tradizioni, la presenza della magia, oddio ora vado in iperventilazione. Sembrava tutto assolutamente meraviglioso stupefacente grandioso, e invece.

Uno dei problemi di Ribelle - The Brave, a parte quest'infelice scelta per il titolo italiano (lasciamo perdere il titolo originale Brave che si rischia che la gente lo scambi per un film su un gruppo di ragazze a modo, ma l'antiestetico sottotitolo The Brave era proprio necessario?), è che tradisce completamente le aspettative. Non è nulla di quello che sembrava: non è un'epica storia di combattimento, non è un'epica storia di rottura delle tradizioni, non è un'epica storia di magia, non è manco un'epica storia. Medioevo scozzese: Merida è una rossellaohara insofferente al suo ruolo di principessa impostole dalla madre, ma è costretta a un matrimonio forzato col delfino di un clan amico per mantenere la discendenza; lei ovviamente non vuole e si rivolge a una strega per ricevere una magia che possa cambiare il suo destino. Fine della parte su tradizioni combattimenti magie eccetera, il resto è una sorta di lungo episodio di Una mamma per amica con una variante fantasy che volendo potrebbe anche risultare pretestuosa e ridondante: la magia della strega trasforma la madre di Merida, la regina, in un orso bruno, e quindi il film si basa sul viaggio che madre e figlia devono intraprendere per restituirle la forma umana. La metamorfosi animale è un elemento estremamente comune in tutte le mitologie e i folklori mondiali, e nell'ambito della fiaba è stato portato alla massima espressione da Andersen nel suo capolavoro I cigni selvatici, quindi non c'è nulla di male ad utilizzare un topos così comunque, ma vederlo proposto in maniera così poco originale e non rielaborata, e proprio in un film Pixar che da sempre è sinonimo di estrema originalità e rottura degli schemi, e fra l'altro a brevissima distanza di tempo da un equivalente estremamente simile com'era Koda, fratello orso del 2003, fornisce un grande elemento di perplessità. Se questo film fosse uscito dagli studi della Sony (Piovono polpette) o della Illumination (Cattivissimo me) o della Blue Sky (L'era glaciale) o dal peggio del peggio, la pessimerrissima Dreamworks, lo sguardo su questo film sarebbe stato di certo più magnanimo: non è un brutto film, ma è vistosamente sotto lo standard Pixar.

Alfred Hitchcock non sarebbe stato felice di questo film, perché per lui la base di un film è la sceneggiatura, e aveva perfettamente ragione: se segui una scia di fuochi fatui e alla fine dici la frase «ohibò, perché mai i fuochi fatui mi avranno portata qui?», stai prendendo in giro qualunque spettatore che abbia almeno 6 anni. Tutto il film è scritto in maniera davvero, davvero semplicistica: sembra sempre che sia necessario esplicitare ogni singolo evento a parole, come se le immagini da sole non bastassero. I dialoghi poi sono davvero da A-B-C di commedia dell'arte, con tutti i personaggi sono standard e parlano in maniera standard, e punte di insofferenza massima nei bisticci fra una Merida pre-mestruale e una madre neo-menopausata, che però almeno forniscono la vera chiave di lettura del film: il target. Se la maggior parte dei film Pixar gode del rarissimo dono di riuscire a conquistare ogni fascia di pubblico, da qualche tempo a questa parte lo studio si è dedicato con più precisione a selezionare dei pubblici specifici per i propri film: creiamo un film per bambini piccoli, ed esce Cars; creiamo un film che possa essere apprezzato anche dalla terza età, ed ecco Up; qui la Pixar si è resa conto di non aver mai intercettato il pubblico delle ragazzine adolescenti e quindi a loro si è dedicata per questo film. La scelta di un target preciso di per sé non è una nota di demerito, anzi rende più comprensibile la scala in cui va collocata un'opera, ma in questo caso si rischia l'esagerazione con i mille battibecchi Merida vs. madre che compongono oltre la metà del film, battibecchi peraltro già visti e rivisti in mille altre occasioni nonché nella realtà a casa propria. La storia poi è molto, molto standard e prevedibile e punta solo a dare una lezione morale alle giovani spettatrici; per tutto il film non si fa altro che parlare di destino, ma non è quello il tema del film: è l'armonia familiare. Ratatouille, quello sì che è un film sul destino che può essere forgiato con le proprie mani, rendendolo di fatto uno dei migliori film sull'american dream mai realizzati. Ma Ribelle cerca solo di mostrarci che la mamma è sempre la mamma e che anche se ci litighi se poi sei tanto tanto pentita lei certo che ti perdona, anzi magari vi scambiate pure i vestiti e i rossetti. Un episodio de Una mamma per amica lungo 100 minuti, davvero, in cui tutti i personaggi maschili sono pura carta da parati e stanno lì solo ed esclusivamente per inscenare le gag senza avere il minimo ruolo nella trama. Per quanto forse solo ad un livello implicito e forse (?) involontario, Ribelle potrebbe essere il film più ginocentrico, no anzi più misandrico, non anzi più matriarcale di tutti i tempi. Forse involontario, certo, ma da un film ideato, scritto, co-scritto, diretto, prodotto, interpretato e cantato da donne, era onestamente difficile aspettarsi altrimenti.

Ci sono poi degli aspetti per i quali Ribelle è un film straordinario: l'animazione e la renderizzazione del film sono stati eseguiti con i software sviluppati dalla Pixar stessa, rispettivamente Presto e RenderMan, che rendono il film un'esperienza di inimmaginabile bellezza visiva. Film dopo film si segna un passo avanti nella tecnologia usata, ma qua di passi ne son stati fatti 100: ogni fogliolina, ogni capello, ogni goccia d'acqua è di una bellezza iperuranica, irreale, commovente, che straccia miseramente l'Avatar di Cameron non solo per la tecnica, ma anche per la poesia che pervade ogni fotogramma del film. Ribelle non è solo il film più visivamente bello della Pixar, è anche il più giapponese: nessun mistero che i registi Brenda Chapman e Mark Andrews amino Hayao Miyazaki, e si vede, con una quantità enorme di citazioni e a volte veri e propri furti, soprattutto da Il castello errante di Howl, Porco Rosso e Principessa Mononoke. Che dire poi dei fuochi fatui che assomigliano pericolosamente a certi spiritelli visti in Final Fantasy? E come non notare la carineria, anzi no proprio il kawaii dei fratellini di Merida, trasformati anche loro in orsetti pronti per essere clonati in peluche che sbancheranno le casse dei Disney Store di Tokyo (notare che i fratellini, unici maschi con un ruolo nella trama, non hanno caratterizzazione sessuale). Persino il cortometraggio La Luna prima del film ha le stesse caratteristiche di Ribelle, ovvero target femminile, tecnica perfetta e furto libero: stavolta i defraudati sono Saint-Exupéry e soprattutto Italo Calvino con una delle sue cosmicomiche più belle, che se il regista non avesse ammesso d'essercisi ispirato sarebbe stato plagio bello e buono.

Ribelle non è un film brutto e non è l'inizio della fine: è un film che sacrifica l'originalità e l'ecletticità tipica dei film Pixar per proporre un film direzionato con chirurgica precisione al suo pubblico. Aspettiamo i prossimi, dai.

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