Il principio degli anni '80 (e non da meno la fine così come gli sgoccioli della decade precedente), per i Dire Straits era stato davvero un periodo pregno di impegni, anche se la successione incisione album/ promozione disco/tournée, faceva parte di una collaudata routine che sottoponeva ad un incredibile stress psicofisico quasi ogni band del tempo con la salda intenzione di affermarsi. Nel suo cammino artistico il gruppo mostrò anche le conseguenze di un'attività così intensa (dipartita anche per altri motivi di David Knopfler, ma anche quella successiva del primo ed indimenticato batterista David - detto Pick - Withers). Mark Knopfler intanto era divenuto una sorta di Re Mida per chiunque avesse la possibilità di avvalersi del suo magico tocco, in grado di di far luccicare di luce propria quasi sempre, i brani sui quali mettesse mano, facendo così moltiplicare collaborazioni estemporanee (Phil Lynott e Steely Dan tra le tante) ma anche interventi che mai avrebbero fatto pensare ad un seguito anche sulla lunga distanza (Bob Dylan e Van Morrison su tutte).

Il rock di stile di cui attraverso i DireStraits l'ineccepibile leader si faceva portavoce non rappresentava però, l'unico interesse per la sua voglia di esprimersi musicalmente. La sua passione per la miscela di generi ha sempre caratterizzato un insolito standard di scrittura in grado di fondere blues, radici folk e country, rimandando ad una cinematografia di chiaro stampo western che lascia identificare il musicista scozzese, anche dopo un breve ascolto dei brani da lui composti.

E se di quanto appena detto ne sono testimonianza la galoppante "Once Upon a Time in the West" e l'interminabile "Telegraph Road", l'ascolto di LOCAL HERO non potrà che avallare ulteriormente questo pensiero. Il film è una bellissima storia ecologica ambientata su un lembo della costa scozzese che un imprenditore americano, decide di acquistare dai proprietari terrieri del posto, per poterci costruire delle raffinerie petrolifere. Una narrazione affascinante avvalorata da inquadrature di luoghi incantevoli (la regia di Bill Forsyth - anche lui di Glasgow - è una garanzia) dove ad essere protagonista è la gente locale, unita ad un semplice senso dello humour che pervade i dialoghi e rivela un sensibile e sconosciuto Knopfler compositore, capace di svelarsi come già consumato traduttore in musica di ambientazioni ed immagini che coloriscono la storia. A prevalere è una musica delicata che tiene unite atmosfere morbide e ritmate, sempre in grado di trascinare e sottolineare il significato visivo delle scene, senza perdere quel comune denominatore fatto di note che guizzano dal traditional folk all'old time music delle string band. Una musica che si mostra uniforme pur tenendo conto della varietà che contraddistingue un brano dall'altro (talvolta dei veri e propri musical interludes), rivelandosi gradevoli all'ascolto per via di riusciti inserimenti di fisarmonica e violini non certo familiari alla band del coevo LOVE OVER GOLD! Intrecci musicali capaci di emozionare e generare sussulti ed in grado di far viaggiare la mente a ritroso nel tempo, tra i paesaggi incantati propri della tradizione scozzese e sonorità che pur nella loro semplicità si mostrano intense, facendosi apprezzare anche senza il supporto delle immagini. Unico brano cantato è "The Way It Always Starts" per la cui interpretazione vocale viene scelto Gerry Rafferty (altro scozzese d.o.c.), mentre il tema portante "Going Home", (Theme of the Local Hero) che pur proposto sotto più vesti, in questa versione parte in maniera molto sommessa e contraddistinta da uno stratificato ed atmosferico avvicendarsi tra chitarra e tastiere (ovviamente del fedele Alan Clark pur se qui in veste di componente dei sobri The Acetones), per poi farsi accompagnare per mano (e mi permetto di dire anche per bocca ...) dall'eccelso sax di Michael Brecker e svilupparsi in una sconfinata apoteosi strumentale da far giustificare da solo l'acquisto del disco.

Un disco che vede nella lista dei credits oltre a tutti i Dire Straits dell'epoca, musicisti del calibro di Eddie Gomez (Miles Davis, Dizzy Gillespie e Chick Corea tra i tanti), Steve Jordan (Blues Brothers e Clapton), e Tony Levin (King Crimson ed Art Garfunkel) e che pur costituendo per il musicista scozzese il primo impatto con la stesura di musica da film, riesce a centrare il bersaglio al primo colpo, impressionando (pur se con le dovute differenze), per via dello spontaneo e personale approccio compositivo che lo ha portato a guadagnarsi con tutti gli onori l'appellativo di Sultano dello Swing!

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