Giunto al suo quinto CD solista, Mark Lanegan prosegue con quest'opera nella sua personale evoluzione musicale. Dal grunge psichedelico degli anni ottanta, celebrato dal buon successo raggiunto con gli Screaming Trees e ancora decisamente presente nei suoi esordi solisti, Lanegan ha saputo col passare degli anni rinnovarsi e maturare verso sonorità meno essenziali, ma decisamente più descrittive.

Anche in questo caso Lanegan si concede svariate collaborazioni, sia in fase compositiva (Mike Johnson, Jeffrey Lee Pierce) che di esecuzione (Duff McKagan, Ben Shepard), caratteristica che conferisce alle sue canzoni sfumature sempre diverse, pur mantenendo inalterato ed inconfondibile il suo stile. Canzoni come "One Way Street" (istantanea di un'esistenza sofferta e decadente) e "Resurrection Song" (una liturgia intrisa di tinte crepuscolari) riescono a trasmettere senza filtro la totalità del suo torbido messaggio. Un messaggio che arriva dritto al cuore, ove riecheggia per parecchio tempo. Senza neanche accorgersene, ci si ritrova sospesi in una malinconica spiritualità, un male di vivere cullato da amori infelici e da una natura essenziale e sbiadita, sempre in bilico tra la maledizione (It's a bad, bad feeling that you get when you get so lonely. "She Done Too Much") e l'esaltazione (I stagger in a daze to find what you ment where it's good to be alone. "No Easy Action") di una solitudine rassegnata ed ineluttabile. Lanegan, con le sue Canzoni dei Campi, ci regala emozioni forti e sincere, scandite da una delle voci più calde e vibranti dell'intero panorama musicale.

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