"Ho preso paranoia, la mia concubina cocciuta/e l'ho accoppata/giuro, come di schianto...".

Una dichiarazione d'intenti? Non proprio: nonostante alcune canzoni virino decisamente verso sonorità piú soft (L'abitudine, Una canzone arresa, Infinità) la paranoia, protagonista assoluta dei due dischi precedenti, spadroneggia anche in questo lavoro, a parte qualche solitario raggio di sole (la sublime dolcezza di Infinità).

Alla terza prova i M.K. dimostrano subito (L'odio migliore) di non aver perso lo smalto de Il vile; anzi, ormai giunti alla maturità, sfornano un disco ben equilibrato fra pezzi veloci e ruvidi (con quei meravigliosi "accordini" di chitarra cui ci hanno abituato) e pezzi piú "calmi", dalla battuta lenta ma violenta: v. Ineluttabile, L'abitudine, Un sollievo.
Il malessere dell'esistere nelle sue evenienze piú insostenibili è catarticamente rivissuto in ogni singola composizione. Pochi in Italia scandagliano cosí efficacemente l'insondabile trasmettendo sentimenti profondissimi all'ascoltatore, pochissimi sono giunti cosí vicini alla perfezione nell'espressione artistico-musicale.
È facile abbandonarsi all’ascolto di quest'opera omogenea e perfetta.

Discorso a parte meritano le Spore, non composizioni limate e studiate a tavolino, bensí improvvisate in studio (i M.K. vi indulgono spesso anche dal vivo, tra un pezzo e l'altro) nelle quali si può percorrere la genesi delle canzoni dei M.K. Magari per due minuti i componenti del gruppo si rincorrono senza trovarsi, magari si armonizzano fin da subito: in ogni caso, quando si instaura l'alchimia giusta, vale la pena esserci (e gustarla appieno).
Sono una testimonianza particolare del processo creativo dei M.K.: potranno fare storcere il naso a qualcuno, ma fra averle e non averle è preferibile la prima possibilità.

Nel dettaglio darei 5 stelle a Ho ucciso paranoia e 3 alle Spore, il voto complessivo è la media fra i due.

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