Kama. Si chiamano Kama e sono capitanati da un ragazzotto basso e massiccio che imbraccia una chitarra acustica con il santino di Bruno Lauzi (!) sulla cassa. Bassista allampanato e con un ciuffo folto di ricci in testa, impugnatura punkettara. Chitarrista/tastierista trendy con giacchetta e secondo chitarrista smilzo nascosto dietro le casse di destra. Insomma, un gruppo perché suonano insieme, altrimenti li si sarebbe detti “i primi cinque che a caso siamo riusciti a raccattare nella casa discografica”. La loro musica sembra strizzare l’occhio al negramarismo – mambassismo. Orecchiabili, ma non conquistano troppo la mia attenzione.

Saranno passati quegli otto nove pezzi, con pubblico diligente e applausi come dovuto, quando arriva il momento degli headliner e si riversano sul palco un Pipitone fasciato di copricapo lanoso (lo eliminerà ad inizio concerto) ed un Paolini carico di piatti vari per il cambio batteria. Diversi minuti di traffico con i ferri del mestiere, poi rullo di tamburi, ee sii cooomincia siore e siori. Circo Marta sui Tubi. E’ la prima volta che me li gusto sulla lunga distanza. Snocciolano l’intera loro discografia miscelata, iniziando con la goliardica “Via Dante” (di cui non rinunciano ad eseguire la BobbySolesca parte), poi saltellando fra nuovo e vecchio album, con l’impertinenza di un gruppo di folletti dispettosi. Gulino, re degli effetti. O per meglio dire despota. Quando decide che ci vuole qualche strano rumore, ebbene che rumore sia, anche se magari si sarebbe preferito altro. Per quanto mi riguarda, sono così convinto della qualità della sua voce, specie in dimensione live, che gliela leverei, quella dannata console piena di manopole. Un pezzo come “Sole”, ad esempio, viene eseguito con la voce spezzata in mille riverberi, perdendo un po’ la struttura semplice semplice che mi aveva convinto in “Muscoli e dei”. O ancora, la fase “pubblicitaria” nell’"L’Amaro Amore”: le parole vengono allungate e distorte e si adagiano incongrue sul selvaggio tessuto strumentale, creando un effetto confuso (pure troppo, a dirla tutta) ed andando in direzione opposta a quanto visto in “C’è gente che deve dormire”. Poi la tendenza “cantautoriale live”: velocizzare il cantato nelle strofe. Si stende un po’ su tutti i pezzi, e non è che mi convinca tanto. In controtendenza col resto lascio immaginare cosa può succedere nel caso del “Giorno del mio compleanno” in fast forward: un assurdo scioglilingua, quasi disumano. Divertentissimo. Sempre belle “Vecchi Difetti” (con l’effetto “telegrafo” diligentemente riproposto), “L’equilibrista” (quasi una dichiarazione d’intenti e di poetica del duo/trio), la spagnoleggiante “Muscoli e Dei” (niente monete di accompagnamento questa volta), la strampalata (e mitica) “Stitichezza Cronica”. Per “Post”, unica nota: l’intro, e cioè un pezzo “recitato” da Gulino. Francamente abbastanza inutile, comunque de gustibus.

Ovviamente i MST parlano col pubblico, come si conviene in questi casi. Sono simpatici, scherzano molto fra loro, lanciano qualche battuta che si adagia sulle risate dei presenti (vabbeh, magari la banale “Roma alla vaccinara” poteva risparmiarcela, mr. Gulino). Quello che spesso attira l’attenzione è Paolini. Un pazzo: praticamente l’unione fra Liam Neeson e Gollum. Buffo il suo break disco con bacchetta roteata nel mezzo di “Stitichezza cronica” o la fintamente irosa e raucamente gridata interruzione per necessità di carburante alcolico.

Occhei, è il momento di tirare le somme: adoro i MST. Ma forse proprio per questo il concerto mi è piaciuto solo a metà: pezzi che avrei volentieri ascoltato scarni e “puri” in una stanzetta, sono stati potenziati e imbrigliati in “altrisuoni”, senza che ce ne fosse davvero bisogno. Era come se a tratti la tendenza a strafare si impossessasse di loro (appunto, il “folletti dispettosi” di cui sopra). Nota di merito al pubblico: molti ragazzi accanto a me sapevano le canzoni a memoria (trattandosi dei MST e non degli Afterhours, la cosa mi ha parecchio sorpreso), non mancando di partecipare con entusiasmo. E di sicuro, quando tutti in coro si canta il selvaggio (e folle) cut up di “Stitichezza Cronica”, è uno spettacolo nello spettacolo.

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