Ci sono a volte, nella storia del cinema, scene particolari destinate a restare nella memoria collettiva, di un valore assoluto, battute epocali che lasciano il segno; in Taxi Driver il monologo di Travis davanti allo specchio è diventato addirittura effige del film stesso, e simbolo del personaggio (‘'Are you talkin' to me?''). E perdipiù, lo è diventato del tutto casualmente; il copione non recitava nulla di simile, tutto merito di un eccezionale Robert De Niro. Come a dire, quando è destino.

Ai tempi di Taxi Driver sia Scorsese, il regista, che Schrader, lo sceneggiatore, come pure l'attore, De Niro, si aggiravano sulla trentina: a distanza di trent'anni sono diventati tutti famosi, e il film ha ricevuto definitiva consacrazione dalla critica e dal pubblico (pur avendo già vinto a Cannes nel 1976). Come dimenticare, poi, la performance della giovanissima Jodie Foster (appena tredicenne) nei panni della prostituta minorenne, finita sotto le grinfie del sudicio Sport (Harvey Keitel)?

Come se non bastasse, a firmare la colonna sonora del capolavoro è Bernard Herrmann, fedele musicista di Hitchcock, che morì subito dopo averla terminata; a lui va la profonda riconoscenza del regista.

Nello scrivere la sceneggiatura, Paul Schrader ammette di essersi ispirato a Dostoevskij e a Sartre nel rendere la figura esistenziale di Travis, calandola nel contesto americano; il risultato è una trasposizione visiva allucinata della condizione umana e della depressione, della crisi dell'individuo. In tutto questo Scorsese si abbandona al suo radicato pessimismo, e dipinge la metropoli, New York, come un vero e proprio inferno, con un realismo intensissimo La storia è quella di un tassista, Travis Bickle, reduce dal Vietnam, sempre più esasperato dalle ingiustizie e dalle violenze del mondo in cui vive, che in un modo tutto suo si erge a giustiziere della società; vittima del sistema, Travis va inevitabilmente incontro al degrado, nel folle proposito di ripulire le strade di New York, e la sua ebbrezza lo porterà alla catastrofe finale. Che poi catastrofe non è, almeno non del tutto.

Tanti anni dopo, possiamo considerare a buona ragione Taxi Driver un'anticipazione della nostra società di oggi, in cui non c'è più freno alla violenza e alla corruzione (morale e non). E in cui cresce l'isolamento (Travis vive allo stesso modo, completamente solo).

Imperdibile l'auto-citazione: il vispo e nero cliente del tassì, che stesso Scorsese interpreta, che illustra al silenzioso tassista una logica ridicola, tutta sua ("Sa, mia moglie mi tradisce, e io l'ammazzo"). Non fa una grinza.
E poi non ci resta che riflettere, come voleva il regista; chissà quanti Travis ci circondano, senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo. Con la differenza che in tal caso non si tratta di un film, ma della vita vera.

 

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